Sabato 20 Aprile 2024

Saccomanni e le banche: "Serve un fondo Atlante bis"

L'ex ministro: "Bisognava risolvere prima il problema"

Fabrizio Saccomanni (Newpress)

Fabrizio Saccomanni (Newpress)

Roma, 30 giugno 2016 - Di fronte alla lezione della storia, che molto insegna, i leader europei sono stati alunni distratti. «Troppe sottovalutazioni nella gestione della crisi» ammette l’ex ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni, oggi economista della Luiss e dg onorario di Bankitalia. Uno su tutti, il problema delle banche, «andava affrontato subito». All’epoca del governo Letta, sedette al tavolo che tenne a battesimo il bail in, le norme sui salvataggi bancari. Ora che le banche sono di nuovo preda delle speculazioni di mercato, mantiene il sangue freddo: «La stagione dei Monti bond è finita, avanti con lo schema del fondo Atlante per rafforzare gli istituti». Il vento della storia soffia verso il ritorno agli egoismi nazionali? «L’Europa sta andando in quella direzione, ma non è una valanga inarrestabile, non c’è un abbandono dell’idea di Unione e dei suoi valori. Ora bisogna saperla spiegare meglio e renderla più vicina alle istanze dei cittadini». Il fatto è che questa Europa così com’è non funziona, cosa si è sbagliato?  «Nella gestione della crisi economica è stato sottovalutato l’impatto profondo e strutturale: su fisco, investimenti e occupazione le decisioni sono state lente e senza coordinazione. Ha pesato anche la sequenza degli interventi: altri Paesi hanno gestito in maniera energica il problema delle banche, noi abbiamo dato precedenza al risanamento dei bilanci pubblici aggravando la recessione. Avremmo dovuto affrontare subito il nodo banche con strumenti più elastici: anche chi, come la Spagna, ha usato gli aiuti per risanare gli istituti poi ha dovuto sottostare a politiche di austerità». I mercati non hanno reagito bene. Le banche, colpite dalla speculazione, sono diventate il nuovo spread in questa crisi? «L’immagine è attraente ma le cose non stanno proprio così. Il distacco della piazza londinese ha un impatto sul settore finanziario in generale e le banche italiane, zavorrate dalle sofferenze, sono colpite da vendite indiscriminate. Non dimentichiamo che la Bce, in caso di rischi sistemici, può decidere di comprare anche le obbligazioni bancarie». Draghi ha avvertito che bisogna risolvere il problema banche e il governo sta trattando con Bruxelles. Si parla anche di un intervento dello Stato nel capitale, come valuta questa ipotesi? «L’Europa è contraria all’intervento pubblico salvo casi eccezionali. Si tratta, comunque, di una procedura difficile da applicare perché serve l’unanimità tra i Paesi membri, andrebbe resa più snella. La strada da percorrere è quella di schemi come il fondo Atlante associato a un sistema di garanzie pubbliche. Gli aiuti di Stato non sono sempre distorsivi della concorrenza, se sbloccano un fallimento del mercato la possono favorire. Le parole di Draghi possono aver dato una spinta ma, al momento, non vedo moltissime aperture dalla Commissione Ue e dalla Germania». A suo parere ci sono margini per rivedere il bail in sui salvataggi bancari? «L’Italia sostenne fin dall’inizio la non retroattività e una fase di transizione, anche quando ero ministro dell’Economia, ma la maggioranza dei Paesi decise diversamente. Esiste una norma di revisione che dà la possibilità di riesaminare il bail in entro il 2018, questo potrebbe essere il momento favorevole per fare leva anche se, dopo il fallimento delle quattro banche, i risparmiatori sono molto più prudenti sull’acquisto di obbligazioni bancarie». Tra i possibili interventi, si è parlato anche di emissioni sul modello dei Monti bond?  «Credo che quella stagione sia conclusa, si trattava di emissioni con un costo elevato per le banche che richiesero aumenti di capitale per rimborsarli. In ogni caso, sarebbe un percorso lungo e avversato dell’opinione pubblica. Non dimentichiamoci che ogni intervento di finanza pubblica va a pesare sul debito e i margini non sono enormi». Nell’immediato, cosa è urgente fare? «Mantenere la stabilità sui mercati agendo sulle reti di sicurezza delle banche centrali. Poi, l’Europa deve agire in modo deciso su tre fronti: sicurezza, crescita e occupazione. Come è emerso anche dal vertice di Berlino». Brexit può pesare sulla crescita al punto da minare la ripresa? «L’impatto sulla crescita sarà negativo ma è presto per dire quanto, bisogna vedere le scelte degli investitori e i flussi commerciali». Senza la Gran Bretagna, avremo più peso politico sullo scacchiere europeo?  «L’Italia è sempre stata a favore del metodo comunitario piuttosto che ai direttori ma è, comunque, positivo che ci venga riconosciuto un ruolo. Da Paese fondatore, ha una tradizione di stimolo intellettuale e propositivo».

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