Uragano Ophelia, figlio del cambiamento climatico

Tre morti in Irlanda, ma Ophelia potrebbe non essere un fenomeno isolato. Necessario quindi ridurre le emissioni di gas serra

La chiusura di un ponte in Nord Irlanda per l'arrivo dell'uragano Ophelia (Lapresse)

La chiusura di un ponte in Nord Irlanda per l'arrivo dell'uragano Ophelia (Lapresse)

Roma, 17 ottobre 2017 - Più energia in gioco, più fenomeni estremi. L'equazione è semplice. Ma come il cambiamento climatico produca poi i suoi effetti, quali siano le interazioni in atto, interazioni che possono causare anche cambiamenti non lineari - cioè improvvisi, non progressivi - sono ancora da comprendere appieno, specie quando riguardano gli oceani. Che gli uragani possano arrivare in Europa sotto forma di intese perturbazioni extratropicali è storia, anche se si tratta di accadimenti rari. E che questi fenomeni possano diventare più frequenti o più intensi è una tesi che i climatologi hanno avanzato già da tempo.

Uno studio firmato da Reindert Haarsma e da altri ricercatori del Reale istituto meteorologico olandese (Knmi) e pubblicato nel 2013 da Gephysical research letters (http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/grl.50360/abstract ) affermava che "per effetto del riscaldamento climatico", "la porzione di oceano Atlantico nel quale si formano uragani si estenderà a nord e ad est e questo porterà alla formazione di più uragani in grado di raggiungere l'Europa occidentale". "Nonostante che nel tragitto compiranno la transizione da uragano tropicale a tempesta ibrida - precisavano - colpiranno con eccezionale forza". Gli autori aggiungevano anche che il numero degli uragani diretti verso l'Europa "potrà aumentare anche di quattro volte entro la fine del secolo".

I fatti - con Ophelia che ha colpito l'Irlanda - sembrano dargli ragione. Ma la realtà è probabilmente più complessa di quanto ipotizzato dai ricercatori olandesi e stavolta in gioco entrano meno la temperatura del mare e di più gli effetti di sponda del cambiamento climatico, come lo spostamento verso est dell'anticiclone delle Azzorre: se il "guardiano delle Azzorre" scompare, gli uragani atlantici possono aprirsi la via verso l'Europa. Sempre la causa è in ultima analisi il cambiamento climatico, ma il grilletto premuto è diverso.

"Ophelia - osserva Sandro Carniel, ricercatore dell'Istituto scienze marine del Cnr - si è formato molto più a nord rispetto dove si formano fenomeni di questo tipo, e per molti aspetti è un uragano "strano". Non si tratta di un uragano che, come per i recenti casi caraibici, si alimenta di temperature degli oceani elevate, eppure è cresciuto. E ha proceduto ancora verso nord approfittando, per così dire, dell'assenza dei campi di pressione che di solito lo avrebbero facilmente bloccato”. Per standard convenzionali, Ophelia non dovrebbe essersi sviluppato perchè in quel tratto di Atlantico la temperatura dell'acqua era inferiore ai 26 gradi, ma è nato lo stesso sfruttando il gradiente di temperatura - la differenza di temperatura - tra gli strati alti della troposfera, molto più caldi del solito, e l'acqua. Ed è riuscito a spostarsi verso nord perchè ha trovato strada libera nel percorso verso nord. E' una spiegazione complessa, ma la realtà è che la nostra atmosfera è un sistema molto complesso che interagisce con gli oceani e la criosfera in maniera che ancora non comprendiamo appieno.

"La verità - spiega Carniel - è che serve, ora più che mai, inquadrare questi fenomeni mettendo a sistemi dati da satellite, dati acquisiti in mare, e modelli numerici 'accoppiati'. Che tengano quindi conto nella loro 'fisica' delle interazioni bidirezionali che quotidianamente avvengono tra  atmosfera, oceani e ghiacci. Non sarà possibile capire e predirre i delicati rimpalli di energia che mantengono in vita strutture come queste, ora considerate rare ma che potrebbero divenire presto più frequenti, continuando a ragionare per compartimenti stagni. Atmosfera, oceano e ghiacci si 'parlano'; il loro alfabeto lo abbiamo compreso, ma le frasi più complesse ancora no”.

Tutto conta, anche se certo, la temperatura del mare, il dato più “grezzo” ma più evidente, resta un fattore chiave, anche alle nostre latitudini. In questo senso va uno studio di Isac-Cnr e Iia-Cnr pubblicato su Nature Scientific Reports https://www.nature.com/articles/s41598-017-13170-0) . La ricerca mostra che il tornado che nel 2012 colpì Taranto causando un morto e 60 milioni di euro di danni è figlio dell'aumento della temperatura del mare. Facendo correre il modello, i ricercatori Marcello Miglietta, Jordi Mazion, Vincenzo Motola e Antonello Pasini hanno mostrato che più aumenterà la temperatura del mediterraneo, maggiori saranno i danni. "Con un innalzamento della temperature del mare di un solo grado - scrivono gli autori - i cambiamenti sono drammatici e altamente non lineari" e aggiungono che "in condizioni di riscaldamento normale la supercellula non si sarebbe formata e un riscaldamento ancora maggiore ne avrebbe drasticamente alzato la intesità in maniera non lineare" anche se “questo non significa che questi fenomeni aumenteranno in futuro, perché lo studio affronta solo un aspetto, quello della termodinamica, e non quello della circolazione atmosferica". La direzione è chiara: più cambiamento climatico significa più energia nel sistema, più energia in gioco significa più fenomeni estremi. Ma sul dettaglio serve ancora molta ricerca. E serve soprattutto un taglio delle emissioni di gas serra, che del riscaldamento in atto sono responsabili per oltre il 90% e senza il quale il fenomeno non farà che aggravarsi.