Giovedì 18 Aprile 2024

L’inferno dei siriani al confine turco. Vita sottoterra in fuga dalle bombe

A Kilis solidarietà e business. Per un garage sudicio 200 euro al mese Turchia, piccoli profughi siriani tra fame e macerie

KILIS (Turchia), 3 aprile 2016 - UNA CITTÀ sommersa, sotterranea, dove ogni giorno si lotta per la sopravvivenza. Kilis è il capoluogo dell’Anatolia sud-orientale, in Turchia. Dista soli cinque chilometri dal confine con la Siria, diventando inevitabilmente la prima fermata della lunga marcia dei profughi in fuga dagli orrori della guerra. Qui infatti, a fronte di una popolazione locale che conta poco più di cinquantamila turchi, ne esiste un’altra che vive nell’ombra, ma che in pochi mesi ha già superato quota centomila.

SONO I SIRIANI, un’intera comunità che ha perso la casa o i propri cari negli scontri che vedono coinvolti l’Isis e il governo di Bashar Assad. Di questo fiume di profughi, oltre sessantamila sono raccolti nei campi di accoglienza Kilis 1 e Kilis 2, mentre gli altri quarantamila vivono sotto la città, all’interno di vecchi scantinati o garage abbandonati, con un buco nell’asfalto come latrina e un materasso gettato a terra per letto. Senza finestre, senza vestiti o elettrodomestici, a parte una piccola tv che spesso nemmeno funziona. Piccole illusioni della vita che fu, prima delle bombe. Il Sud della Turchia è una terra spaccata a metà tra amore e odio, guerra e pace e dove la solidarietà spesso si mescola col business. Quelle stanze sudicie, infatti, costano ai profughi dai cento ai duecento euro di affitto ogni mese: stanze spoglie e scrostate di soli venti o venticinque metri quadrati, che le famiglie siriane dividono anche in otto, spesso con persone disabili o reduci di guerra.

IL CIBO SCARSEGGIA, perché il costo della vita qui è molto più alto che in Siria, così mamme e papà, che a casa loro magari erano imprenditori o docenti, sono ora costretti ad arrangiarsi con lavori saltuari, dall’inserviente delle pulizie all’imbianchino, pur di garantire ai loro figli un tetto sulla testa. Un tetto che, molte volte, si rivela incredibilmente fragile.

Nel frattempo però la guerra va avanti e il numero di siriani in Turchia non fa che aumentare, tanto che il governo di Recep Tayyip Erdogan ha già nominato Kilis per il Nobel per la Pace. A sostegno della Turchia è scesa in campo anche l’Unione europea, che a febbraio ha stanziato fondi per tre miliardi di euro da destinare proprio ai bisogni primari dei profughi. Anche nel recente passato, tuttavia, erano arrivati fondi attraverso i quali Kilis sta provando a cambiare volto: tra le rovine di edifici iniziati e mai terminati, e di fianco a canali in secca che straripano però di immondizia, sono spuntate decine di parchi gioco, piste ciclabili e spartitraffico colorati da aiuole fiorite. Tutti servizi di facciata che però stridono con la realtà di chi vive in baracche di fortuna e spesso non ha i soldi nemmeno per mangiare.

A DARE LORO un contributo importante ci sono allora le associazioni umanitarie impegnate sul territorio, tra cui le italiane ‘Speranza – Hope for Children’ e ‘Una mano per un sorriso – For children’. Grazie a loro centinaia di disperati hanno trovato casa, sono stati sostenuti a distanza da famiglie italiane o hanno ricevuto cibo, vestiti e soprattutto un po’ di speranza. Un lavoro a stretto contatto con la gente, per restituire un briciolo dignità a chi si è visto portare via un’intera esistenza dal fragore di un’esplosione.