Trump, l’uomo che usa le maiuscole. Così ha stravolto la comunicazione

Esce oggi il nuovo libro di Bruno Vespa 'Soli al comando. Da Stalin a Renzi, da Mussolini a Berlusconi, da Hitler a Grillo. Storia, amori, errori'. Mondadori - Rai Eri, 516 pagine, 20 euro. Pubblichiamo una parte del capitolo dedicato a Donald Trump, il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti. Il più anziano a occupare lo Studio Ovale della Casa Bianca. Trump è stato eletto esattamente dodici mesi fa, a 70 anni, e nello scorso gennaio si è insediato. Il titolo del capitolo dedicato a Trump è 'L’uomo che usa le maiuscole'

Donald Trump (LaPresse)

Donald Trump (LaPresse)

Roma, 3 novembre 2017 - Ha il viso duro di un uomo molto sicuro di sé. La fronte coperta in parte dal ciuffo biondo bene ordinato, le sopracciglia mosse e cespugliose, il naso importante ma regolare, belle labbra, collo in linea con l’età, ma senza cedimenti rovinosi. Parla anche quando tace. Grida anche quando sussurra.

Nessuno può immaginare che da quella bocca ben disegnata esca qualcosa che non sia un proclama o una minaccia.

Sparisce il profilo Twitter di Trump. "Colpa di un impiegato mascalzone"

La parola che usa più spesso è «Io». «Io» è Donald J. Trump, quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti. Trump ha alcuni primati. A 70 anni, è stato il presidente più anziano ad aver fatto il suo primo ingresso alla Casa Bianca. Ha battuto ogni record di velocità, passando in un baleno da miliardario senza alcuna esperienza politica (mai fatto un dibattito in vita sua, prima delle primarie repubblicane) a guida dello Stato più potente del mondo. Ha stravolto la comunicazione presidenziale, bombardando più volte al giorno il mondo con decine di tweet. Ha oltre 40 milioni di follower, cioè di persone che seguono regolarmente i suoi messaggi, e interviene su qualunque tema. Usa molto il carattere maiuscolo, i punti esclamativi e un linguaggio tranchant che ha dissolto in poche settimane secoli di prudenza e di reticenza diplomatica.

Nei primi mesi dieci mesi di presidenza, Trump ha iniziato ad attuare una parte delle promesse elettorali. Ha avviato la costruzione di un muro per arginare l’invasione dei migranti dal Messico, ma ci vorranno molti anni e decine di miliardi di dollari per completarlo. Ha messo pesantemente in discussione l’accordo nucleare con l’Iran, seminando sconcerto e timori. Ha fallito l’attacco alla riforma sanitaria di Obama (il cosiddetto «Obamacare») rinviandone la piena attuazione, nonostante avesse intercettato il malcontento di tanta gente che aveva visto raddoppiare il costo delle proprie polizze di assicurazione per estendere l’assistenza sanitaria ai percettori di redditi minimi.

Ha dichiarato guerra commerciale alla Cina, che, a suo giudizio, ha messo in serio pericolo la competitività economica degli Stati Uniti. Ha ammonito i partner europei della Nato a tirar fuori molti soldi in più perché l’America si è scocciata di pagare il conto per tutti. (Anche se, come vedremo, il presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni dirà di averlo trovato molto più riflessivo, collaborativo e consapevole di quanto non faccia pensare la sua immagine.) Ha avviato la costruzione di importanti infrastrutture e ha appena messo mano a una grossa riforma fiscale. E, contro ogni previsione, Wall Street ha macinato record su record.

I momenti di maggiore difficoltà, Trump li ha avuti con quello che è stato chiamato il «Russiagate». Già nell’agosto 2016, tre mesi prima delle elezioni, il «New York Times» aveva rivelato che il capo della sua campagna elettorale, Paul Manafort, aveva ricevuto un finanziamento di 11 milioni di euro in nero da un partito ucraino filorusso. (Da parte sua, il «Wall Street Journal» aveva scritto che dall’Ucraina una decina di milioni erano arrivati anche a Hillary Clinton.) Manafort dovette dimettersi, come fece il generale a tre stelle Michael T. Flynn, capo della Defence Intelligence Agency nominato da Obama, consulente di Trump e accusato di contatti molto stretti con la Russia. Sotto tiro finirono anche il miliardario ebreo Jared Kushner, marito di Ivanka Trump, che ha avuto frequentissimi contatti con l’ambasciatore russo a Washington, e lo stesso presidente, accusato di aver rivelato informazioni riservate al ministro degli Esteri Sergej Lavrov.

Ma Trump si è difeso dicendo di aver condiviso con i russi soltanto notizie utili alla comune battaglia contro il terrorismo, salvo poi licenziare il capo dell’Fbi James Comey, accusato di impicciarsi troppo della faccenda. In ogni caso, nell’anno successivo alla vittoria elettorale le sue relazioni con Mosca sono peggiorate progressivamente, fino alle rappresaglie dell’autunno 2017 con la reciproca espulsione di diplomatici.