Mercoledì 24 Aprile 2024

"Migranti, droni e satelliti per controllare i flussi sul Niger"

Ancora un tragico naufragio di migranti nel Mediterraneo. Un barcone è affondato a circa 30 miglia a nord delle coste libiche: otto i cadaveri recuperati finora, quattro le persone tratte in salvo. I superstiti hanno raccontato che a bordo erano in 107. Il tutto mentre in Libia continua a persistere una forte incertezza politica. Secondo i media locali l'ex premier Khalifa Ghwell, protagonista nei giorni scorsi dell'assalto ad alcuni edifici governativi, "sta lavorando a una alleanza con il governo di Tobruk" per spodestare il governo di Tripoli appoggiato dall'Onu e diretto da Fayez al-Sarraj.

Alcuni migranti salvati nel Mediterraneo (Ansa)

Alcuni migranti salvati nel Mediterraneo (Ansa)

Bologna, 14 gennaio 2017 - Veste il doppio abito di generale di corpo d’armata che ha chiuso la carriera allo Stato maggiore dell’Esercito e di sottosegretario alla Difesa prima con Matteo Renzi e ora con Paolo Gentiloni. 

Domenico Rossi, sottosegretario alla Difesa (Germogli)
Domenico Rossi, sottosegretario alla Difesa (Germogli)

Onorevole Domenico Rossi, qual è il retroscena del blitz delle milizie a Tripoli? 

«In Libia è in corso un processo di unificazione non concluso e quindi la conflittualità interna è molto alta e difficile per qualsiasi interlocutore, Italia compresa». 

E’ stato un tentativo di golpe?

«No, si è trattato di una azione dimostrativa verso edifici in parte non utilizzati dal governo Serraj. E non credo che ciò che è accaduto sia un'azione in senso anti italiano dopo l’apertura dell’ambasciata a Tripoli e la visita del ministro Marco Minniti per l’accordo sui migranti».

Le Milizie dei Fratelli musulmani sono pilotate da qualcuno?

«L’ex premier Khalifa al Ghwell potrebbe essere il riferimento di questa azione dato che è stato scalzato dal governo Serraj. Se dietro di lui ci sia la mano del governo di Tobruk è difficile dirlo ma è una possibilità. La sensazione è che sullo sfondo si muovano interessi più ampi di altre Nazioni».

Quali?

«Alcuni osservatori parlano di Russia ed Egitto dietro Haftar, ipotesi però da dimostrare. Ma ci possono essere interessi possibili nella ricerca di sbocchi a mare per Putin, in Cirenaica».

La turbolenza attuale può rallentare l’attività della nuova ambasciata e degli accordi bilaterali con l’Italia?

«Non tocca a me la risposta. Ragiono col buonsenso. Fatto un accordo così strategico per combattere il traffico di esseri umani non si torna indietro. L’ambasciata sarà un centro di riferimento per i progetti in agenda».

Perchè Tobruk definisce l’apertura della nostra ambasciata "una nuova occupazione"?

«Bisognerebbe chiederlo al generale Haftar. Tuttavia credo che nel momento in cui una parte vede crescere una situazione in termini positivi della parte opposta, cioè Tripoli, ne parla in termini contrari. Noi siamo non la causa ma l’effetto delle considerazioni di Haftar. Si agisce così se si vuole contrastare la stabilizzazione del Paese».

Perché l’Italia non vuole avere rapporti con Tobruk?

«Attualmente esiste un governo riconosciuto dalla comuniità internazionale che fa capo a Serraj»

Quali sono il piano e i tempi per bloccare i flussi di clandestini?

«La prima parte dell’addestramento della marina libica da parte degli operatori italiani è terminata. I flussi però non nascono sulla costa ma dai paesi confinanti quindi non basta il controllo sul mare».

Cosa serve?

«Sono necessari altri interventi. L’Europa ha già versato 20 milioni di euro alla Libia e ne sono stati stanziati al 25 per lavorare sui flussi migratori. E' però necessaria, e l’accordo lo prevede, un’azione di cooperazione sociale e di controllo sui confini Sud verso il Niger. Nel 2017 tutto ciò produrrà effetti positivi sul rallentamento dei flussi».

E' pensabile una presenza militare italiana sui confini?

«I controlli possono essere fatti soprattutto con sistemi satellitari, radar e droni non necessariamente con truppe. La tecnologia può fornire un valido supporto alle forze militari libiche. E questa prospettiva deve avvenire sotto l’egida dell’Onu».

Cambiamo scenario. Qual è l’impegno delle forze armate nell’area del sisma in Italia?

«Abbiamo sul campo 1.500 uomini che si occupano della sicurezza anche in funzione anti sciacallaggio e per ciò che attiene all’assistenza e alla ricostruzione, come la realizzazione di moduli abitativi, la demolizione e lo sgombero di edifici pericolanti, verifiche di agibilità».

L’Operazione strade sicure continua?

«Anche per il 2017 è riconfermata l’attività di 7mila militari in supporto alle forze di polizia per la sicurezza interna e l’antiterrorismo».