Mercoledì 24 Aprile 2024

Alle Hawaii come su Marte. "Ora siamo più vicini all'impresa"

Sei scienziati della Nasa hanno vissuto un anno come nel film 'Tha Martian' con Matt Damon

La cupola geodetica sulle pendici del vulcano delle Hawaii

La cupola geodetica sulle pendici del vulcano delle Hawaii

Roma, 29 agosto 2016 - Isolati alle pendici del più grande vulcano attivo della Terra, a 2.500 metri di altitudine. Non è esattamente il modo in cui verrebbe da trascorrere un intero anno alle Hawaii, ma tant’è. Agli scienziati spesso sono richieste prove eccezionali e, talvolta, sacrifici personali. Per dire: Bacone, uno dei padri della scienza moderna, morì di freddo mentre cercava di congelare un pollo. Si è conclusa ieri sera, alle 21 italiane, la strana avventura di sei ricercatori della missione Hi-Seas della Nasa, che hanno passato gli ultimi dodici mesi in isolamento completo, vivendo in una cupola geodetica sul grande vulcano Mauna Loa per simulare una spedizione su Marte e studiare le dinamiche di un gruppo umano segregato e irraggiungibile. Una simulazione in tutto e per tutto realistica, va detto. Ventiquattro ore su ventiquattro, i sei scienziati hanno sperimentato ogni dettaglio della vita in un pianeta ostile, come Marte, cercando di sfruttare ogni loro conoscenza scientifica per sopravvivere fisicamente e psicologicamente a condizioni così estreme. Un ingombrante casco e una pesante tuta spaziale come uniche (e scomode) forme di abbigliamento ammesse per uscire dalla casa-laboratorio, nessuna comunicazione in tempo reale con il mondo esterno. Soltanto email con un tempo di latenza di venti minuti: quelli che impiegherebbero le comunicazioni con il Pianeta Rosso per giungere a destinazione sulla Terra percorrendo 200 milioni di chilometri. Se in tutto questo vi viene in mente l’ultimo film di Ridley Scott, The Martian, con Matt Damon novello Robinson Crusoe, il riferimento è assolutamente azzeccato. Come l’astronauta Mark Watney, i sei hanno tentato di risolvere problemi, perché: «Questo è lo spazio, e non collabora. A un certo punto vi succederà qualcosa di terribile. O accettate che accada o vi date da fare. Fate calcoli, risolvete un problema e quello dopo, e se ne avrete risolti abbastanza tornerete a casa».    L’equipaggio è formato da tre uomini e tre donne, ciascuno con una specifica specializzazione, ma uno di loro ha a che fare molto da vicino con il nostro Paese: si tratta del giovane francese Cyprien Verseux, un astrobiologo che lavora per l’università di Tor Vergata, a Roma. A poche ore dal rientro in Italia, Verseux ha spiegato che «una missione spaziale su Marte è realistica nel prossimo futuro, le difficoltà tecnologiche e umane sono superabili. Il suo compito nella missione è stato quello di fare ricerche sui batteri che usano la fotosintesi: lo scopo è quello di convertire le scarse risorse di Marte in nutrimento per le piante. «I risultati sono molto incoraggianti», ha scritto via email lo studioso. Anche se «il contenimento e l’isolamento a volte pesano. Per un anno non sono stato all’aperto e non ho visto o parlato con nessuno al di fuori dei miei cinque compagni di squadra. I momenti più difficili sono stati quelli in cui è successo qualcosa a parenti o amici sulla Terra: non ho potuto essere lì per loro o chiamarli, ad esempio dopo gli attacchi terroristici a Parigi, che è la mia città natale, o quando uno dei miei nonni è scampato ad un tentato omicidio». Verseux però tornerà ‘a terra’ anche con un grande bagaglio di esperienza e di ricordi, come «il primo giorno nella cupola, i regali di Natale sotto un abete di plastica decorato con nastro isolante o le esplorazioni nei tunnel di lava». Due i souvenir che porterà a casa: «Un ukulele e l’attenzione nel consumare le risorse».