Libia, Scaroni: "Petrolieri più forti dei politici"

"Macron ininfluente sui contratti. L'Italia litigiosa non ha peso" Libia, la missione italiana si sgonfia. Sarraj: interventi su richiesta Migranti, le navi italiane in Libia sono appena due

Un'immagine di guerra in Libia (Reuters)

Un'immagine di guerra in Libia (Reuters)

Roma, 29 luglio 2017 -  "Ho visto decine di cambi di regime in Africa ma i contratti petroliferi non sono mai stati toccati". Paolo Scaroni, ex amministratore delegato di Enel ed Eni, oggi deputy chiarman di Rothschild, da grande conoscitore del Medio Oriente non ha dubbi: quello che fa Macron non inciderà sul business di Eni o Total in Nordafrica. Ciò che cambierà sarà l’attivismo della politica estera francese, dai migranti alle questioni militari fino agli interessi economici. E l’Italia? «Finché sarà così divisa al suo interno non riuscirà a contare nello scacchiere geopolitico internazionale».

Il presidente francese chiamando a Parigi Fayez al-Sarraj, presidente del Consiglio presidenziale di Tripoli e il generale Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico, ha scalzato l’Italia nel ruolo di mediatrice. C’è chi ci vede anche un tentativo di agevolare gli interessi di Total...

«Sgombrerei il terreno: i contratti petroliferi non dipendono da queste cose, sono sempre delle gare a cui partecipano le imprese, ho assistito a decine di cambi di regime e non sono mai state toccate».

Il tema Total-Eni, come sostiene Casini, è totalmente irrilevante perché le grandi aziende si tutelano da sole?

«Sì, quello che farà Macron è totalmente irrilevante da questo punto di vista. Non ne farei un fatto petrolifero ma politico, di influenza. La Francia, non dimentichiamocelo, ha la bomba atomica, il diritto di veto all’Onu e una sua politica estera e militare ben definita che prescinde dai governi. Non mi sorprende che Macron voglia giocare un ruolo nel futuro della Libia, da neo presidente ha voluto mostrare ai francesi che è attivo su questo fronte. Che poi riesca, con questo incontro un po’ frettoloso all’Eliseo tra Sarraj e Haftar, a risolvere il problema della Libia ho qualche dubbio. È stato comunque un tentativo di mettere insieme i due grandi attori della vicenda libica, cosa che noi italiani non abbiamo mai fatto».

Abbiamo puntato sul cavallo sbagliato?

«Abbiamo puntato subito su Sarraj, la persona designata dalle Nazioni Unite e, a mio parere, non ci siamo interessati abbastanza a Haftar che occupa militarmente metà del Paese».

La nostra strategia è troppo a rimorchio di Bruxelles?

«Dall’inizio della crisi libica il mondo occidentale ha spinto perché l’Italia si occupasse della composizione dei conflitti in Libia. Quanto i nostri governi abbiano effettivamente fatto non lo so. Ma i risultati sono molto modesti, con Sarraj asserragliato a Tripoli e non in grado di controllare nemmeno la sua parte di paese. A noi quello che interessa davvero è la Tripolitania, perché gran parte dei migranti vengono da lì».

A proposito di migranti, a giorni partirà la nostra missione navale sulle coste libiche. Intanto, Macron parla di hotspot francesi sul territorio libico...

«Macron ha precisato che li farà quando la situazione lo consentirà. Senza controllo del territorio è difficile. Quanto al tema dei migranti economici, abbiamo avuto finora idee poco chiare: in tutto il mondo passano un processo di accettazione, non è che chi arriva arriva».

Dai migranti all’economia, i rapporti italo-francesi sono messi a dura prova: come interpreta lo schiaffo della nazionalizzazione dei cantieri Stx?

«La partita non è chiusa, Macron ha detto di voler negoziare con calma e che nazionalizza con l’idea di riprivatizzare. Sono appena tornato dalla Francia e, dal loro punto di vista, si tratta di una scelta perfettamente logica. Per una grande potenza militare i cantieri di Saint Nazaire sono strategici e, poi, Fincantieri ha davanti a sé un piano di ristrutturazione in Italia. Anche questo è un aspetto che conta».

Dal nostro punto di vista però, ha poco senso accettare una governance paritetica?

«Non conosco il dossier nel dettaglio, ma chiedo che si debba insistere sul controllo. Se non c’è controllo non ci sono nemmeno le sinergie».

Macron all’Eliseo rende il ruolo dell’Italia più o meno rilevante sullo scacchiere internazionale?

«Il bello di Macron è che è un europeista convinto e questa è una garanzia anche per l’Italia. Ha ristabilito il tradizionale legame con la Germania ma questa non è una novità. Un Paese può giocare un ruolo nel mondo solo sui temi di politica estera c’è unità nazionale, cosa che avviene in Francia, Germania, Inghilterra e buona parte del mondo. In Italia, invece, la politica da un po’ di tempo è così divisa su tutto che è difficile avere un peso nel mondo. Ogni sconfitta del governo sul terreno internazionale viene usato dall’opposizone come una vittoria. I problemi li abbiamo in casa».