Libia, il fedelissimo di Haftar: "L'Italia ora tratti anche con noi"

Attaccati gli alleati di Tripoli e presi due pozzi petroliferi. "Abbiamo contattato il vostro governo ma non ci ha risposto"

Miliziani libici in azione (Ansa)

Miliziani libici in azione (Ansa)

Roma, 12 settembre 2016 - L’euforia delle autorità di Tobruk per l’avanzata militare verso i terminal petroliferi conquistati ieri traspariva già nei giorni scorsi dalle parole di Ali Al Qatrani, il più potente dei sei vice (per conto dell’area di Tobruk) di Fayez al Sarraj, leader del governo di unità nazionale libico che ancora però attende il riconoscimento formale da parte del governo del generale Haftar. Da tempo il governo di Tobruk guidato dal generale lancia segnali verso l’Italia anche su possibili investimenti petroliferi. Segnali che secondo le autorità libiche orientali inspiegabilmente non ricevono risposta. Ali Qatrani, uomo d’affari, è membro effettivo del governo di Tobruk e responsabile del comitato degli investimenti, in sostanza il ministro dell’Economia.

Che possibilità ci sono per l’Italia di avviare nuovi investimenti in Libia?

«Esistono possibilità immense e più volte lo abbiamo fatto presente invano».

Avete avviato contatti per visite istituzionali in Italia?

«È stata inviata una nota ufficiale al governo italiano, ma finora non abbiamo ricevuto una risposta chiara. Nella lettera chiediamo di discutere meglio l’accordo politico e le relazioni tra Libia e Italia. Siamo sorpresi dallo strano silenzio di un Paese amico».

Che obiettivi vi ponete?

«Abbiamo già discusso in Parlamento nell’ambito delle commissioni degli investimenti e degli affari esteri e difesa sullo sviluppo delle relazioni italo-libiche. Il socio commerciale numero uno in Europa è l’Italia con cui si possono sviluppare molte attività anche nell’ambito petrolifero. Il trattato di amicizia fra Libia e Italia del 2008 rappresenta un modello da sviluppare. Ma l’Italia è interessata per ora al ruolo di una certa area. Speriamo di vedere presto un possibile ruolo italiano più energico in favore della Libia unificata».

Tobruk approva il possibile patto tra Italia e Libia per frenare le partenze dei migranti?

«Abbiamo sempre appoggiato ogni sforzo per frenare l’immigrazione verso l’Italia. E siamo più sinceri di altri in Libia nel tentativo di bloccare il fenomeno. Ma le autorità italiane e la Ue non citano mai il coordinamento e gli sforzi delle istituzioni della Libia orientale».

Come controllate le coste di Tobruk?

«Oltre la metà della coste libiche sono sotto il nostro controllo e da queste spiagge monitorate dall’esercito non partono più barche di clandestini. E poi vediamo il presidente di un Paese membro della Nato come la Turchia affermare che ‘se non ci date i soldi, apriremo i confini’. Non è un ricatto questo?».

Serve un coordinamento maggiore?

«La questione deve essere risolta nei Paesi d’origine dei migranti. La Libia è un’area di transito. Bisogna agire in fretta perché ci sono 250mila fra siriani, iracheni e individui e di altre nazionalità che hanno raggiunto il Sudan e tra loro ci sono estremisti. L’ 80% dei clandestini passa dal Sudan. Estremisti africani, arabi, magrebini, yemeniti, siriani e iracheni sono stati arrestati nel conflitto di Bengasi e hanno confermato di aver percorso la stessa pista degli immigrati verso la Libia. Così i terroristi possono arrivare in Italia e in Europa».

A che punto è la guerra all’Isis nella zona di Bengasi e Derna?

«A Derna e in tutta la parte orientale ci siamo liberati dal regime di Daesh. A Bengasi grazie al nostro esercito abbiamo quasi vinto e l’annuncio della liberazione finale significa una nuova fase storica per la Libia».

Chi è veramente il generale Haftar?

«Non è solo il capo dell’esercito scelto dal parlamento, ma è il simbolo di un movimento chiamato Dignità, per combattere i fondamentalisti che hanno ucciso centinaia di capi militari, l’ambasciatore americano a Bengasi e hanno tentato di uccidere il console italiano. Khalifa Haftar è tornato in Libia dopo 25 anni e l’Islam politico ha cercato di allontanarlo. Ora grazie a lui ci sono uno Stato di diritto, sicurezza e zero milizie».

Come lavora la diplomazia italiana?

«È stata una giornata difficile quando ho visto bruciare la bandiera tricolore, ma da ciò che vedo la diplomazia italiana non va nella direzione giusta, perché guarda la Libia con un solo occhio. Non va bene per un paese che ha interessi strategici come l’Italia. Desideravo vedere un ospedale da campo a Bengasi al posto della bandiera che bruciava per curare i nostri figli che sacrificano la vita per proteggere le coste del Mediterraneo che ci unisce. L’Italia è troppo arretrata nell’appoggio alle nostre istituzioni, non sta con tutti i libici, mentre altri Paesi geograficamente lontani sono più vicini ai nostri cuori. Un consiglio. Dico all’Italia di tenersi lontana da inutili alleanze che non funzionano nel caso della Libia».