Giovedì 18 Aprile 2024

Italiani rapiti in Libia, "l'ispiratore è Haftar". Ipotesi del ricatto al governo

Soffiata ai servizi: pressing su Roma troppo schierata con Tripoli

Bruno Cacace e Danilo Calonego, i due italiani rapiti in Libia (Ansa)

Bruno Cacace e Danilo Calonego, i due italiani rapiti in Libia (Ansa)

Roma, 26 settembre 2016 - Potrebbe esserci una lunga mano dietro il rapimento dei tre tecnici della Con.I.Cos – gli italiani Danilo Calonego e Bruno Cacace e un canadese del quale si sa solo il nome di battesimo, Frank – rapiti a Ghat, nel sud della Libia, la mattina del 19 settembre. Il team dell’Aise che è stato inviato a Ghat nei giorni scorsi (e ha poi lasciato il Fezzan, mantenendo una o due unità in loco) e si è incontrato con il consiglio municipale, i capi tribù e altri soggetti in qualche modo in grado di contribuire alla liberazione ha ricevuto indicazioni concordanti.  Gli esecutori materiali sono una banda di predoni noti alle autorità locali per il contrabbando verso Niger e Algeria e per una serie di rapimenti: gente conosciuta, con la quale è stata aperta una trattativa, tramite intermediari locali. Ma gli operativi dei nostri servizi, nei loro contatti, hanno anche ricevuto una segnalazione che indica nel generale Haftar – l’uomo forte del governo di Tobruk – come ispiratore. Veleni tra nemici o qualcosa di più?

L'ordine, ha detto la fonte, è venuto ai predoni attraverso un mediatore "perché Haftar vuole utilizzare il rapimento come arma di pressione verso l’Italia, paese considerato ormai ostile per la scelta del nostro governo di appoggiare pienamente il governo di unità nazionale di al Serraj, ma anche di inviare un ospedale da campo a Misurata". Che Haftar ci veda come il fumo negli occhi è un fatto e così che preferisca la Francia, che lo sta sostenendo anche militarmente. Ma da qui a sostenere che sia ispiratore del sequestro il passo è grande.

Al momento i nostri servizi non hanno trovato riscontri a questa ipotesi, che stanno attivamente verificando con i loro contatti in tutta la Libia. "È teoricamente possibile, perché Haftar avrebbe interesse a fare pressioni sull’Italia, ma non ho indicazioni che sia andata così", è quanto si sono sentiti dire in più di una occasione. Da notare che nei giorni scorsi il portavoce delle forze di Haftar ha lanciato accuse ad Aqmi (al Qaeda nel maghreb islamico) di essere responsabili del sequestro, tesi smentita dal consiglio municipale di Ghat e dallo stesso ministero degli Esteri italiano.

I responsabili, dicono a Ghat, sono locali, anche se nessuno può escludere quanto già successo molte volte in Libia e non solo: la cessione dell’ostaggio ad altri soggetti, magari fondamentalisti. Paradossalmente, se il sequestro avesse un ispiratore a Tobruk la sua soluzione sarebbe più semplice di quella di un rapimento per estorsione e molto più semplice di quella di un sequestro organizzato da gruppi fondamentalisti. Un accordo sarebbe più facile, sulla base di contropartite politiche. Nel frattempo a Ghat le ricerche vanno avanti, anche se la cellula di sicurezza creata dal consiglio municipale ha denunciato una mancanza di mezzi per le ricerche e «stupore per il disinteresse delle autorità di Tripoli". Gli italiani hanno anche chiesto una mano ai francesi, che hanno una base a Madama, nel nord del Niger, vicino alla Libia, dove hanno 6 aerei da caccia, 250 uomini e soprattutto 4 droni utilizzabili per ricognizione. Parigi ha promesso che terrà gli occhi aperti sulla frontiera Libia-Niger, ma anche un intervento sul generale Haftar potrebbe essere utile, se la fastidiosa voce raccolta dai nostri agenti avesse una qualche verità.