Martedì 16 Aprile 2024

Elezioni Gran Bretagna, cosa può succedere ora

Dimissioni della premier, governo di coalizione a guida May o a guida Corbyn: gli scenari. Moscovici: "Calendario Brexit fissato da un trattato" L'ANALISI May Day - di PAOLO GIACOMIN

Elezioni Gran Bretagna, Theresa May (LaPresse)

Image ©Licensed to i-Images Picture Agency. 09/06/2017. London, United Kingdom. Theresa May on Election Night. The Prime Minister Theresa May at her count in Maidenhead. Picture by Andrew Parsons / i-Images i-Images/LaPresse Only Italy

Londra, 9 giugno 2017 - Theresa May ha perso la maggioranza assoluta in Parlamento, pur avendo vinto le elezioni: un risultato che getta la Gran Bretagna nell'incertezza alla vigilia dell'avvio dei negoziati legati alla Brexit. E quindi, cosa può succedere ora? Con 643 seggi assegnati sul totale di 650, i Tory della premier uscente britannica Theresa May avranno 313 deputati in Parlamento (perdendone 12, mentre per la maggioranza ne servono 326), i laburisti di Jeremy Corbyn ne otterranno 260 (ne guadagnano 29), lo Scottish National Party di Nicola Sturgeon 35 (ne perde 21) e i Lib Dem di Tim Farron 12 (più 4). Fuori dal Parlamento resta l'euroscettico Ukip guidato da Paul Nuttall, mentre un bruttissimo colpo incassa il liberaldemocratico Nick Clegg, ex vice premier tra 2010 e 2015 nel governo di coalizione con i conservatori.

Si apre quindi lo scenario di un Parlamento 'sospeso', ingovernabile, prefigurando l'ipotesi di un nuovo ricorso alle urne. In teoria i conservatori di Theresa May possono contare sugli unionisti nordirlandesi del Dup, che hanno tuttavia al massimo 8 seggi. Il totale sarebbe così di 322, sotto la maggioranza assoluta. D'altronde il Labour di Jeremy Corbyn dovrebbe mettere insieme una coalizione multicolore con Snp, Libdem e una quantità di partiti minori per una maggioranza risicatissima e solo teorica.

L'ANALISI May Day - di PAOLO GIACOMIN

Certo, la premier conservatrice potrebbe dimettersi, avendo perso la sua personale sfida, che si è rivelata un azzardo. Oppure potrebbe formare un governo di coalizione, o ancora provare a governare con l'appoggio di partiti più piccoli. C'è anche da dire che un ritardo nella formazione del governo potrebbe far rinviare l'inizio dei negoziati sulla Brexit, sottraendo tempo prezioso al confronto con Bruxelles per dei colloqui che si preannunciano già molto complessi.

Parlando a Europe 1, il commissario agli Affari economici dell'Unione europea Pierre Moscovici ha affermato che la Brexit era appoggiata dalla maggior parte del Parlamento uscente a seguito del referendum che l'ha decisa un anno fa e che il calendario per il 'divorzio' nel 2019 non è "opzionale" ma fissato da un trattato.

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Dall'altro lato, sempre se gli exit poll venissero confermati dai risultati reali, il socialista Jeremy Corbyn potrebbe provare a formare un governo con i partiti più piccoli che si contrappongono alle politiche di May. Per esempio con i nazionalisti scozzesi e con i libdem, entrambi partiti contrari all'uscita dall'Ue. In questo caso si profilerebbe uno scenario molto diverso dalla 'hard Brexit' che avrebbe voluto Theresa May e potrebbe addirittura profilarsi la possibilità di un secondo referendum sulla Brexit. 

TIM FARRON - Il primo a esprimersi chiaramente è il leader dei Libdem. Che fa trapelare la linea: "No ad accordi o coalizioni", cita Sky News. Con i suoi 14 seggi da exit poll, Farron ha la possibilità di diventare determinante nel formare una coalizione di governo. Ma al momento i Libdem si rifiutano di ripetere l'esperienza fallimentare del 2010 quando si allearono coi Conservatori di David Cameron.

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