IN UNA  Oslo piovosa e semideserta per le grandi vacanze, l’attentato ha colpito in maniera devastante, imprevisto, incomprensibile. Perché colpire la Norvegia, un paese in cui l’immigrazione crea pochi problemi, gli estremisti islamici sono pochi e conosciuti? Forse proprio perché Oslo non era considerata un obiettivo a rischio. Al Quaeda avrebbe colpito dove i controlli erano minori. Questa è la prima diagnosi, probabilmente non del tutto esatta.

 L’esplosione nel quartiere governativo della capitale rivelerebbe, al contrario, quanto sia poco compatto e omogeneo il micidiale gruppo terroristico dopo la scomparsa di Osama bin Laden. I servizi di sicurezza sanno, e non da ieri, che sono presenti in Europa organizzazioni minori, spesso non in contatto tra loro, difficili da tenere sotto controllo. Le loro strutture non sono rigide, e non sempre hanno un leader conosciuto e accettato da tutti i loro membri. Il fatto che siano gruppi minori e poco efficienti non diminuisce la loro pericolosità. Al contrario, ciò rende imprevedibili le loro mosse, spesso dettate da rivalità interne e non ispirate da una strategia con un minimo di logica. E’ quanto potrebbe aver provocato l’attentato in Norvegia. Una rivendicazione, per quanto oscura, è già arrivata.

NEL PAESE è attivo da un decennio il gruppo Ansar al Islam, creato dal mullah Krekar, 52 anni, un curdo iracheno. Le complesse radici di Krekar spiegano la sua incerta collocazione nel terrorismo islamico. Krekar ha sempre fatto riferimento ad Al Qaeda, ma in modo ambiguo. E lo stesso Osama aveva preso le distanze dal piccolo gruppo norvegese.

Nel gennaio dell’anno scorso era stato compiuto un attentato contro l’abitazione del mullah, in cui era rimasto ferito non gravemente suo genero. Un’azione mai chiarita. Per Krekar sarebbe stato compiuto da elementi neonazi norvegesi, per la polizia locale al contrario sarebbe da spiegare con le rivalità all’interno del gruppo di immigrati islamici. E proprio la pista nera, quella della sovversione interna, dell’ultranazionalismo sembra prendere più copro con il passare delle ore. L’arrestato è un bianco: biondo, alto uno e novanta, norvegese. Il contrario del prototipo jihadista.

ANCHE SE LA NORVEGIA  è aperta agli stranieri, e la loro presenza è comunque ridotta, nelle ultime elezioni il partito di estrema destra della signora Siv Jensen, ha condotto una compagna contro la «contaminazione islamica della patria», ottenendo il 23% dei voti. Krekar era giunto in Norvegia all’inizio degli anni Novanta, fuggendo dall’Iraq di Saddam Hussein. Sostenne di essere perseguitato in patria in quanto curdo, e aveva ottenuto asilo politico. Ma Krekar presto avrebbe cominciato a organizzare operazioni terroristiche in Iraq, sia contro il governo di Saddam, ma anche contro il movimento di indipendenza curdo ufficiale, con cui era in contrasto.

LA NORVEGIA  partecipa alla missione in Afghanistan, ma con appena 400 uomini, stazionati nel nord del paese, dove hanno avuto poche occasioni di scontrarsi con i talebani. Ma per Krekar Oslo sarebbe troppo amica degli Stati Uniti. A causa delle sue continue attività in Iraq, il governo norvegese aveva deciso di espellere il mullah nel 2009, ma il capo di Ansar al Islam aveva protestato contro la misura: in patria, dichiarò, verrei torturato e ucciso, se ciò avvenisse, i miei mi vendicheranno e anche la vita dei politici norvegesi sarebbe in pericolo.

IL MULLAH  ha continuato a vivere a Oslo, sia pure sempre sorvegliato a vista. A rigor di logica, il suo gruppo non avrebbe alcun interesse a compiere rappresaglie in Norvegia, e in una situazione così complessa, l’attentato potrebbe essere stato organizzato proprio per danneggiare Krekar. Per i servizi di sicurezza una situazione al limite della schizofrenia. In ogni caso, terribile. La Norvegia si sente colpita al cuore.