Milano, 19 novembre 2009 - «Sa che titolo avrei voluto leggere sul giornale? 'Gli italiani hanno ottenuto giustizià. Non soltanto io: questa è una vittoria per tutti. E per me è anche un momento di gioia, di sollievo, in un certo senso, definitivo». Lo dice Alberto Torregiani, figlio del gioielliere ucciso da Cesare Battisti a Milano il 16 febbraio
del '79. «Finalmente anche i giudici brasiliani hanno capito quello che io e le altre famiglie delle vittime del terrorismo ripetiamo dasempre: non ci può essere giustizia se i criminali come Battisti restano impuniti, se vale più una rete di rapporti e di protezioni della vita di quelli che sono morti senza colpa».

«Deve passare il concetto che una colpa non si estingue anche se è passato del tempo - prosegue Torregiani - Quindi va anche bene se saranno 30 anni e non l'ergastolo. A una condizione: nè domiciliari nè sconti di pena. Battisti deve stare in carcere: solo così avrà pagato per quel che ha commesso».

«Quando passa il principio che un terrorista non deve scontare la sua pena - prosegue Torregiani - qualsiasi ragazzo può pensare di fare altro male, sicuro dell'impunità. E non volevo vedere altri ragazzi fare quello che trent'anni fa hanno fatto a me».

 Il Tribunale Federale Supremo del Brasile aveva dato ieri sera il ‘via libera' (per cinque voti a quattro) all’estradizione verso l’Italia di Cesare Battisti, condannato in Italia a quattro ergastoli e attualmente in sciopero della fame.

Poi il Supremo Tribunal Federal, per 5 voti a 4, ha lasciato l’autorita’ sulla decisione finale in merito all’estradizione di Cesare Battisti al presidente Luiz Inacio Lula da Silva.

 
Il voto decisivo per l'autorizzazione all'estradizione è stato quello del presidente dell’alta corte
, Gilmar Mendes, che ha ritenuto che gli assassinii per cui Battisti è stato condannato sono "crimini comuni" e non "politici".

 

La decisione finale sull’estradizione di Cesare Battisti spetta al presidente brasiliano. Lo hanno stabilito i giudici del Tribunale supremo federale che poche ore prima si erano pronunciati a maggioranza - 5 voti contro 4 - a favore del trasferimento in Italia dell’ex terrorista dei Pac. 


Ignacio Lula, hanno stabilito i giudici ancora una volta con una maggioranza di 5 a 4, ha l’autonomia stabilita dalla costituzione per deliberare in ultima istanza sull’estradizione in quanto è una questione che riguarda le relazioni diplomatiche con un altro Paese.


"L’intervento della magistratura appare come un passaggio di rito, necessario come un rito" ha detto il giudice Carlos Ayres Britto, "il procedimento di estradizione comincia e finisce con l’esecutivo".


Carmen Lucia, un altro giudice che ha votato perchè sia Lula a dire l’ultima parola, ha detto che "la competenza sulla consegna in ultima istanza è del presidente della repubblica". Alcuni giorni fa Lula aveva detto che si sarebbe attenuto alla decisione del Tribunale.


Per i giudici che hanno votato contro l’affidamento al presidente della questione, lasciare nelle mani di Lula l’analisi finale del caso significa dare all’esecutivo la possibilità di concedere l’asilo politico che è stato già dichiarato illegale.


"La decisione del Tribunale" ha detto uno dei magistrati, "serve a garantire che l’estradizione venga portata a termine, a dare al presidente la tranquillità di agire in modo conforme alla Costituzione o a un trattato bilaterale. La funzione del Tribunale è di dar certezza assoluta al presidente di agire in modo legittimo".


Su questo punto il presidente del Tribunale è stato laconico: l’indirizzo del Tribunale non è solo un nulla osta, ma è determinante. "Immaginiamo per assurdo" ha detto, "che il presidente si libero di non dare esecuzione all’estradizione. Avremmo una situazione di crisi, saremmo in un vicolo cieco. Ci troveremmo in una situazione rischiosa dal punto di vista della coerenza e della consistenza politica". 

 

Applausi in Aula alla Camera alla notizia dell’ok in Brasile all’estradizione di Cesare Battisti, dopo la comunicazione fatta dal deputato Pdl Massimo Corsaro. 

 


La decisione del Tribunale supremo brasiliano di estradare Cesare Battisti è la "fine di una profonda amarezza". Così, con "grande soddisfazione", il ministero degli Esteri Franco Frattini ha accolto la notizia di una decisione che "premia la linea di responsabilità e di rispetto adottata dal Governo italiano".

"Il mio pensiero va ai familiari delle vittime di Battisti" ha detto il ministro, "che hanno finalmente visto riconosciuto il loro fondato diritto ad avere giustizia".


Il verdetto, ha aggiunto Frattini, "sancisce la fine della profonda amarezza suscitata nell’opinione pubblica italiana dalla decisione di concedere lo status di rifugiato a chi si è reso colpevole di insensata ed incomprensibile violenza omicida. La decisione della Corte soddisfa un’esigenza fondamentale di giustizia per la quale le Istituzioni e il mondo politico italiano si sono battuti per difendere e promuovere gli interessi più alti dello Stato".


L’esito della vicenda, sottolinea Frattini, "premia la linea di responsabilità e di rispetto adottata dal Governo italiano, una linea che non ha mai mancato di sottolineare gli storici legami di amicizia che uniscono i due Paesi". 

 

"Ho dato la notizia all’onorevole Corsaro, che l’ha appena annunciata all’Aula e ha riscosso un applauso unanime da parte di tutti i gruppi parlamentari. Questa è la migliore risposta che il Parlamento poteva dare a chi per un attimo aveva immaginato che il Brasile non fosse un Paese amico e che l’Italia non fosse un Paese in grado di giudicare con tutti i crismi della regolarità un imputato". Lo dichiara il ministro della Difesa, Ignazio La Russa al quotidiano online Affaritaliani.it sulla decisione del Brasile di estradare in Italia Cesare Battisti.

Olga D'Antona alla Camera definisce una ''vittoria per l'Italia'' la decisione dell'Alta corte brasiliana. Adesso pero', la deputata del Pd, vedova di Massimo D'Antona, chiede che il governo di impegni anche nei confronti della Francia per l'estradizione di Marina Petrella. ''Siamo disponibili a un eventuale differimento, ma non alla negazione dell'estradizione'', dice D'Antona.

 

La vicenda giudiziaria di Cesare Battisti va avanti da 18 anni. Queste le tappe della vicenda.


1979: L’ex militante ‘rosso' viene arrestato per banda armata.
Anni ‘80: Detenuto nel carcere di Frosinone, mentre è in corso l’istruttoria, il 4 ottobre 1981 Battisti riesce ad evadere e a fuggire in Francia. Per un anno vive da clandestino a Parigi dove conosce la sua futura moglie. Poi si trasferisce con la sua compagna in Messico dove nasce la sua prima figlia.
Durante il soggiorno messicano i giudici italiani lo condannano in contumacia all’ergastolo per quattro omicidi.

1990: torna a Parigi dove nel frattempo sono andate a vivere sua moglie e sua figlia. Nella capitale francese, fa il portiere di uno stabile, ma frequenta la comunità di rifugiati italiani che lì vive grazie alla cosiddetta ‘dottrina Mitterrand’: l’impegno dell’allora presidente a dare ospitalità ai ricercati della giustizia italiana negli anni di piombo in cambio della rinuncia alla violenza. Intanto, Battisti termina un romanzo e si guadagna da vivere traducendo in italiano racconti di autori noir francesi. Poco tempo dopo viene però arrestato a seguito di una richiesta di estradizione del governo italiano.

1991: in aprile, dopo quattro mesi di detenzione, la Chambre d’accusation di Parigi lo dichiara non estradabile e così torna libero.

1999: Gallimard pubblica nella Serie Noir ‘Travestito da uomo'.

2002: riparte la richiesta del governo italiano per la sua estradizione. In Francia il mondo degli intellettuali della ‘gauche' si schiera a suo favore con numerose manifestazioni.

2004; a febbraio ottiene la cittadinanza francese. Il 10 dello stesso mese viene arrestato e la gauche organizza una campagna contro l’estradizione che tradirebbe la ‘dottrina Mitterrand’. L’estradizione viene concessa dalle autorità d’oltralpe il 30 giugno 2004. A seguito di tale provvedimento Battisti ad agosto fugge e torna alla latitanza.

2007: viene arrestato in Brasile il 18 marzo del 2007, ma il leader dei Pac annuncia subito che chiederà lo status di rifugiato politico.

2008: Il 28 novembre il Comitato nazionale per i rifugiati del governo brasiliano, organo di prima istanza per le richieste di asilo politico, respinge la richiesta dell’ex terrorista. L’estradizione sembra più vicina.

2009: "Se torno in Italia mi ammazzano" avverte, augurandosi che il ministro della giustizia brasiliano, Tarso Genro, "che ha vissuto sulla sua pelle gli effetti della repressione politica (durante la giunta militare al potere in Brasile dal 1964 al 1984) rigetti le argomentazioni del governo italiano". Pochi giorni dopo il Brasile gli concede lo status di rifugiato politico. Il 9 settembre, la riunione dell’Alta Corte era stata sospesa con 4 voti a 3 a favore dell’estradizione. L’ex militante dei Pac è dal 15 novembre in sciopero della fame totale, "l’ultimo atto disperato" per impedire la sua estradizione che, come ha detto in una lettera inviata al presidente brasiliano e ripetuto ai parlamentari brasiliani incontrati martedì nel carcere di Papuda, ha paragonato alla "pena di morte".