Una terribile bellezza

SONO passati esattamente sessant’anni e nessuno se ne ricorda più. Nessuno ricorda più le manifestazioni degli studenti di Budapest, l’invocazione della libertà contro il giogo comunista, l’abbraccio con i contadini e gli operai ungheresi, la sanguinosa repressione dell’Armata Rossa. Ci sono rivoluzioni che hanno successo, ma poi tradiscono se stesse. Ci sono rivoluzioni che falliscono, ma i cui frutti germogliano nel tempo. La rivoluzione ungherese del 23 ottobre ‘56 appartiene a quest’ultima categoria. Celebrando un’altra rivolta popolare di cui è caduto quest’anno un anniversario tondo, la rivolta irlandese della Pasqua 1916, il poeta Yeats scrisse: «Ogni cosa è mutata, mutata interamente: una terribile bellezza è nata». Gli insorti irlandesi furono spazzati via dall’esercito britannico così come gli insorti ungheresi lo furono dalle truppe sovietiche, ma la “terribile bellezza” del loro martirio servì d’esempio a molti e mise in moto un processo di ravvedimento storico. In quei giorni terribili ma belli del ‘56 il Resto del Carlino giocò un ruolo decisivo.

LO DIRIGEVA un intellettuale poco più che trentenne, Giovanni Spadolini. Il sindaco comunista di Bologna, Giuseppe Dozza, assicurava che «la popolazione bolognese ha isolato i creatori di torbidi», il Carlino di Spadolini raccontava che la città si era mobilitata dalla parte del popolo ungherese e accoglieva con generosità gli sfollati. L’Unità definiva «teppisti» gli insorti, il Carlino di Spadolini li qualificava «uomini liberi». L’allora ministro degli Esteri ombra del Pci, Giorgio Napolitano, assicurava che «l’Armata rossa porta la pace nel mondo», il Carlino di Spadolini titolava: «La rivolta popolare di Budapest repressa nel sangue dalle truppe russe». Centouno intellettuali del calibro di Lucio Colletti e Renzo de Felice stracciavano la tessera del Pci, la rivista bolognese il Mulino annotava che «certo è ormai un fatto: l’Unione sovietica non potrà più dirsi protettrice delle classi oppresse e trovar credito nelle coscienze». Molte coscienze, in effetti, si ribellarono. Molte altre respinsero come muro di gomma la verità dei fatti preferendo continuare a cantare la verità di regime. Cambiarono musica solo quando le macerie del Muro di Berlino gli crollarono addosso. 

FA DUNQUE un certo effetto, oggi, vedere alcuni degli eredi di quella tradizione politica, alcuni di quei ciechi e sordi conformisti ancor prima che comunisti impancarsi in difesa della democrazia a loro dire minacciata dalla riforma del Senato. Fa un certo effetto vedere Massimo D’Alema, incoronato premier nel ‘98 dall’ambasciatore britannico a Roma su indicazione statunitense per far la guerra al serbo Milosevic (lo scorso agosto scagionato dall’accusa di crimini di guerra dal Tribunale penale internazionale), denunciare le ingerenze americane sul referendum. Fa un certo effetto sentire D’Alema dare di rimbambiti agli anziani perché «non si rendono conto che approvando la riforma renziana si rovina la vita dei nipoti». La riforma del Senato, non il fiscal compact o il governo Monti che ebbero i voti di D’Alema e compagni. Cambiano i tempi, non cambia la tendenza di alcuni a mistificare la realtà.