Mercoledì 24 Aprile 2024

Nonostante il premier

SIAMO dunque ancora qui, ancora alle prese con l’affilato interrogativo che sin dall’inizio tormenta questa sgradevole e lunghissima campagna referendaria: si voterà su Matteo Renzi o sulla riforma della Costituzione? Se si vota su di lui, Matteo Renzi è spacciato. Degli oltre 11 milioni di consensi ottenuti alle mitiche Europee 2014 ne ha già persi per strada all’incirca 3 e la fronda di Bersani, D’Alema e compagni gliene sottrarrà un’altra fetta. Alfano e i centristi più o meno verdiniani valgono quel che valgono. Ma il punto è che al referendum sulle trivelle dello scorso aprile 12,8 milioni di italiani hanno votato contro il governo: si tratta dello stesso fronte mobilitato oggi contro la riforma del Senato. E a quel fronte va aggiunto Silvio Berlusconi, che la volta scorsa si astenne ma in quest’occasione è attivamente in campo dalla parte del No. Se si vota su Matteo Renzi, dunque, Matteo Renzi è spacciato. A quel punto le dimissioni da presidente del Consiglio sarebbero scontate.​

LA LEGISLATURA è nata nelle serre del Quirinale, regnante Giorgio Napolitano, con l’esplicito sigillo della riforma costituzionale: se cade la riforma cade anche chi se n’è fatto interprete. E non c’è da credere che il premier azzoppato si lasci convincere a rimanere al proprio posto. Sergio Mattarella userà ogni arte di cui dispone, invocherà l’interesse nazionale, paventerà l’orrore del vuoto avvertito dai mercati finanziari, il tracollo di qualche banca, l’impennata dello spread e la picchiata della credibilità italiana al tavolo di Bruxelles. Tutto vero, ma non sarà questo a far desistere il premier dall’attuare il proprio proposito dimissionario. Per due ragioni: avendolo più volte annunciato, se si smentisse perderebbe ogni credibilità residua; se rimanesse a capo del governo, per giunta con la prospettiva di dover varare una manovra correttiva in primavera, finirebbe per bruciarsi definitivamente.

ALTRO discorso se a essere votata fosse davvero la riforma costituzionale. Un voto di merito indipendente sia dal nome del premier che se n’è fatto promotore sia dai tanti nomi di leader politici e personaggi pubblici che cavalcano il fronte del No spinti da secondi fini o solo dal sottile, e per molti versi comprensibile, piacere di punire l’arroganza renziana. In tal caso, la vittoria dei Sì sarebbe certa. Sarebbe certa perché è certo che la maggioranza degli elettori è favorevole all’idea di semplificare il processo legislativo eliminando quel bicameralismo paritario che esiste solo in Italia, di restituire allo Stato parte dei poteri dissennatamente devoluti alle regioni dalla riforma del Titolo quinto della Costituzione, di eliminare il Cnel...

LA RIFORMA è malfatta e piena di contraddizioni. Punta però obiettivi giusti e in parte li coglie. Se non passa, si archivia una volta per tutte il trentennale processo riformatore e si torna d’un balzo al proporzionale, allo strapotere dei partitini, all’ingovernabilità della Prima repubblica. Votarla nonostante Renzi, turandosi il naso, sarebbe una scelta razionale. Una scelta che a oggi parrebbe minoritaria.