Giovedì 25 Aprile 2024

Metafora del Paese

PERSA la guerra, nell’agosto del 1945 l’ammiraglio Takijiro Onishi si squarciò il ventre: morì dopo 18 ore, avendo rifiutato sia le cure sia il colpo di grazia. Come lui fecero migliaia di soldati giapponesi e centinaia di ufficiali in comando. Ora, per carità, gli italiani non sono giapponesi e perdere una guerra mondiale non è come perdere la qualificazione ai Mondiali. Ma se la retorica ha un fondo di verità, se il calcio deve insegnare anche i valori e lo stile, beh, allora l’allenatore della Nazionale, Gian Piero Ventura, si sarebbe dovuto già dimettere e come lui chi lo ha scelto, Carlo Tavecchio. Ma siamo in Italia, le dimissioni non sono mai spontanee. Spintanee, semmai. Perfetta metafora del sistema-Paese, la triste parabola della Nazionale e più in generale la condizione del calcio tricolore. I “cervelli” migliori (Capello, Ancelotti, Conte, Mancini...) fuggono all’estero.

I giovani talenti non trovano spazi perché, come se delocalizzassero le loro attività, i club preferiscono usare manodopera extracomunitaria a basso costo. Il 40% dei giocatori delle “primavera” è straniero, percentuale che nelle “senior” supera il 50. Nessun investimento in infrastrutture; tranne poche eccezioni, gli stadi cadono a pezzi, non offrono servizi, non garantiscono sicurezza. E anche per questo gli italiani, più degli altri popoli europei, li disertano. Secondo la miglior tradizione del federalismo italico, poi, non c’è collaborazione tra periferia e centro, tra i club e la Nazionale: la convocazione di un giocatore viene considerata una jattura. Quando, nel 2000, la Germania si classificò ultima nel primo turno agli Europei, investì ingenti risorse nel settore giovanile. I risultati si videro. L’Italia ha perso ancor prima di cominciare, di buono c’è solo che la sconfitta ha mostrato le sinistre per una volta concordi e un raro clima di unità nazionale tra i partiti: tutti a invocare «dimissioni», anche chi annunciò le proprie e mai le diede.