Un tabù a sinistra

CAPITÒ anche a Tony Blair. Andato al governo nel 1997, il premier labourista inizialmente sottovalutò la centralità del tema immigrazione. I flussi migratori, però, crescevano anno dopo anno e più i flussi crescevano più montava l’insofferenza dei cittadini britannici. La stretta arrivò nel 2001-2002. Fu previsto il taglio di qualsiasi sussidio per chi non richiedeva l’asilo politico, furono strette le maglie ai permessi di soggiorno, fu introdotto un test di “britannicità” per gli immigrati che avevano diritto a rimanere, fu previsto il rimpatrio di migliaia di profughi. Anche in Inghilterra ci furono polemiche. Insorsero le ong, il mondo del volontariato, l’Alta corte di giustizia, i partiti e i movimenti più di sinistra. Non si rammenta, però, alcuna levata di scudi all’interno del Labour. Grossomodo negli stessi anni, al di là dell’Atlantico Bill Clinton affrontava problemi analoghi. Intervenendo al Congresso, la mise così: «Tutti gli americani sono giustamente disturbati dal gran numero di immigrati clandestini che entrano nel nostro Paese. 

È PER QUESTO che la nostra amministrazione si è mossa in maniera aggressiva per difendere i nostri confini con l’assunzione di un numero record di nuove guardie di frontiera, deportando il doppio di stranieri criminali, come mai prima, con un giro di vite sul caporalato e con il blocco delle prestazioni sociali ai clandestini...». Anche nel caso di Clinton, nessuna polemica venne dall’interno del partito. Anzi: terminato il discorso, i deputati del Congresso, sia quelli di destra sia quelli di sinistra, gli tributarono una standing ovation. Quasi vent’anni fa, i due principali partiti della sinistra anglosassone avevano già abbattuto i propri tabù culturali, il che consentì ai loro leader di corrispondere senza tentennamenti alle aspettative delle rispettive opinioni pubbliche. I cittadini si sentivano in pericolo, al pericolo fisico si associava la percezione di un’identità culturale pericolante, e i loro leader erano in grado di dare risposte concrete a quella crescente domanda di protezione. Non diedero scandalo, nel perimetro dei rispettivi partiti quelle tesi erano considerate legittime. Da noi è diverso. Il pacchetto di misure messo a punto dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, è stato bollato con gli aggettivi “razzismo e classismo” da scrittori “sinistri” come Roberto Saviano, ha suscitato sincero orrore nella presidente della Camera Laura Boldrini ed è stato tutt’altro che digerito dalla minoranza del Pd. Il partito di Minniti. Le critiche del sindaco di Milano Sala, del ministro della Giustizia Orlando, e di buona parte dei “compagni” di partito all’ultima uscita, goffa nella forma ma legittima nella sostanza, del segretario Matteo Renzi confermano che c’è un problema. Un ritardo culturale che mina la credibilità delle proposte politiche di Minniti e di Renzi in materia di immigrazione.