Venerdì 19 Aprile 2024

L'amara lezione

Sosteneva Niccolò Machiavelli che il 50% dei successi del Principe dipendono dalla fortuna, e Paolo Gentiloni è un uomo fortunato. Tre volte fortunato. La prima perché a meno di un anno dalla nascita del suo governo l’economia ha cominciato a dare timidi ma costanti segni di ripresa. La seconda perché Angelino Alfano ha voluto lasciare il ministero dell’Interno e al Viminale è capitato che si insediasse un uomo come Marco Minniti, evidentemente capace di gestire il problema immigrazione rassicurando di conseguenza la pubblica opinione e lavando, perciò, l’onta che più offuscava l’immagine politica del governo. La terza ragione è che Paolo Gentiloni ha un carattere opposto a quello di Matteo Renzi. E dopo uno come Matteo Renzi, uno come Paolo Gentiloni gode di un vantaggio naturale. Si spiega così la popolarità del presidente del Consiglio in carica di cui ci dà conto il sondaggio che pubblichiamo oggi. Una popolarità implicita.

Una popolarità non ricercata né costruita, figlia di un’insolita serie di sottrazioni: nessuna esibizione di sé, nessuna polemica più o meno pretestuosa, nessuna promessa più o meno fantasiosa. Gentiloni c’è, ma non ingombra. Rassicura, ma non allarma. Un profilo, il suo, non troppo diverso da quello di Marco Minniti. Anche il ministro dell’Interno vola deliberatamente basso. Nessuna comparsata televisiva, nessuna sbrasata politica, poche interviste ai giornali e sempre, per vezzo e per metodo, presentate in forma di “colloquio”. Minniti parla con i fatti e i fatti sembrano dargli ragione. Se risulta più popolare di Gentiloni è solo perché, essendo ad oggi riuscito a governare il problema dell’immigrazione, è più popolare tra gli elettori di centrodestra. A chi gli domanda come intenda capitalizzare questo straordinario consenso, risponde serafico: "Ignorandolo". Perché, spiega, "se mi ponessi il problema e cercassi di sfruttare l’onda in vista di possibili vantaggi politici futuri correrei il rischio di smettere di far bene quel che sto facendo, scavandomi di conseguenza la fossa con le mie stesse mani". Nell’era della iper personalizzazione politica, nell’era dell’esibizione del leader, della sistematica ricerca di un nemico e del bluff elevato a metodo di governo, il successo mediatico di questi due personaggi scardina certezze antiche e pone nuovi interrogativi. Allora è possibile. È possibile conquistare sul campo la popolarità pur senza abusare di riflettori accecanti, marce trionfali e fuochi artificiali. È possibile per un governo “di parte”, è necessario per un governo di larghe intese quale sarà inevitabilmente il prossimo. Governi figli di grandi coalizioni trasversali, infatti, inducono naturalmente al basso profilo chi li incarna e scoraggiano dal parteciparvi le personalità più riottose e divisive. Per Matteo Renzi si tratta di una lezione. Una lezione probabilmente amara.