Sabato 20 Aprile 2024

Niente d'importante

Di sicuro c’è solo che oggi il Pd perderà le elezioni. Le perderà perché, pur di farlo perdere, i bersaniani hanno presentato un candidato alternativo a quello del loro ex partito. Le perderà perché, dopo la stagione del governatore Crocetta, orrida ibridazione politica tra il peggior Vendola e il peggior Grillo, la sinistra di governo è più sradicata che mai in una regione che da sempre oscilla tra il centro e la destra. Le perderà perché il Pd di Renzi ha smarrito l’aura di novità e non per questo ne ha guadagnato in clientele e ramificazioni territoriali. Matteo Renzi ne è consapevole, infatti si è tenuto alla larga dall’isola e si è premurato di far sapere che a scegliere come candidato il rettore Fabrizio Micari non è stato lui ma il sindaco di Palermo Leoluca Orlando. Renzi ha dunque abdicato al proprio ruolo di segretario; se ne lava le mani. E pare convinto che basti spostare l’attenzione sulle elezioni politiche prossime venture (si spiega così l’annuncio del confronto televisivo di martedì col grillino Di Maio) per evitare d’essere travolto dalle macerie siciliane. Macerie sotto le quali rischia di finire anche il Movimento 5 stelle.

Come a Roma dopo Marino, in Sicilia dopo Crocetta i grillini sono dati per favoriti. Beppe Grillo ha puntato tutte le sue fiches sull’Isola, l’ha battuta palmo a palmo e ancor più di lui l’hanno battuta i suoi dioscuri Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. La vittoria in Sicilia come presupposto della vittoria nel Continente: era questa la premessa. Premessa che si è fatta retorica. Non è un voto amministrativo, ha detto il Capo, ma «un anticipo della riscossa nazionale». Ovvero, «un referendum contro la vecchia politica». C’è invece il serio rischio che a spuntarla sia proprio la «vecchia politica». Vecchia come vecchi e inamovibili sono gli uomini forti del centrodestra siciliano, per l’occasione rappresentati da un galantuomo non più giovane come il catanese Nello Musumeci. Un uomo solidamente ancorato a destra, destra missina. Dunque una germinazione del partito di Giorgia Meloni. Se Musumeci dovesse farcela, il centrodestra troverebbe nuovo vigore e si leccherebbe i baffi in vista delle politiche del prossimo anno. Ma la possibile vittoria in Sicilia non sarebbe una panacea. Resterebbero intatte le insofferenze personali tra i leader, gli abissi programmatici tra i partiti, la non eleggibilità dell’ottantunenne Berlusconi, l’incapacità di Forza Italia di esprimere un candidato governatore credibile al Sud come al Nord. I commentatori sembrano concordi nel ritenere che la Sicilia sia ancora il «laboratorio politico» d’un tempo e che il voto odierno cambierà ogni cosa. Ne dubitiamo. Il voto siciliano metterà ciascun partito di fronte a problemi noti da anni, le tensioni interne verranno sedate a suon di posti in lista alle prossime politiche e si continuerà a prendere in giro gli italiani prospettando vecchi e nuovi candidati premier senza alcuna chance di affermazione a causa della legge elettorale. Niente di importante cambierà sotto i cieli della politica, in Sicilia così come nel Continente.