La mossa del Cavaliere

Raccontano che Bobo Maroni abbia un solo hobby: colleziona statuine di elefanti, ma della posizione della proboscide gli interessa il giusto. Non li colleziona, infatti, perché gli portino fortuna, ma perché alludono a una memoria di lunga durata. Maroni (che ha fama d’essere uomo vendicativo) ritiene d’essere stato gabbato da Matteo Salvini, e Silvio Berlusconi (che vendicativo non è, ma che non è neanche fesso) ritiene che Salvini gli abbia mancato di rispetto oltre ogni logica politica. Perciò sembra proprio che i due grandi vecchi abbiano stretto un patto volto a condizionare le scelte del giovane segretario leghista, colpevole, al pari dell’altro Matteo, di eccessiva arroganza e di un eccesso di presunzione. Alt, facciamo un passo indietro. Mai come in queste elezioni nulla è come appare e i giudizi sedimentati negli anni sono destinati a essere sovvertiti in ragione di un nuovo contesto politico. Chi avrebbe mai detto, ad esempio, che avversari storici come il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari e l’ex direttore dell’Economist Bill Emmott avrebbero auspicato la nascita di un governo riferito a Berlusconi come unico, possibile, elemento di stabilità per l’Italia? Si narra che persino Angela Merkel la pensi così: di Renzi non si fida più, di Berlusconi ha ripreso a fidarsi. Assistiamo, poi, a un altro paradosso: nessuno dei candidati premier i cui nomi sono in bella vista sui simboli dei partiti ha alcuna chance di varcare il portone di palazzo Chigi. Secondo uno schema seguito in passato da Charles De Gaulle, schema ben rappresentato nelle processioni religiose dove a un primo passo indietro ne seguono due in avanti, il vero candidato è quello che abbandona la scena e in apparenza si ritira. Vale per il grillino Di Battista, che rimarrà volontariamente fuori dal Parlamento in attesa di essere richiamato a gran voce come sindaco di Roma. E vale per Bobo Maroni. Anche lui si è, in apparenza, ritirato. Ma nella testa di Berlusconi il suo è, ad oggi, uno tra i nomi più spendibili per la guida del prossimo governo. Sia in caso di vittoria del centrodestra, sia in caso di larghe intese col Pd. Forza Italia prenderà senz’altro più voti della Lega, come farà Matteo Salvini a dire no a un premier leghista? La mossa è contorta, ma non priva di astuzia. L’esperienza, evidentemente, qualcosa conta. Ci si chiede solo se a Salvini convenga depositare il nuovo simbolo della Lega dove il suo nome è seguito dalla parola «premier».