Giovedì 25 Aprile 2024

Applauso garantito

Roma, 21 ottobre 2016 - Niente di più facile, volendo strappare l’applauso, che prendersela con «la Casta». Sentenziare che i politici «sono tutti ladri», metterli in contrapposizione con «chi, invece, lavora», e infine solennemente annunciare la riforma delle riforme: «Tagliamogli lo stipendio!». Nessun margine d’errore, l’applauso è garantito. Troppo facile, non lo faremo. Pensiamo infatti si possa onorare il pur stereotipato ruolo di «cane da guardia del potere» denunciando errori, sotterfugi e privilegi dell’élite politica senza per questo precipitare nella demagogia. Affamare i politici è demagogico. E pure autolesionista. Basti osservare la triste parabola grillina, iniziata con la pretesa di applicare alla politica un inedito canone francescano e finita, come nel caso di Luigi Di Maio, con la necessità di presentare rimborsi spese mensili da tremila euro. Fare politica costa. E se è vero che uno dei principali problemi della nostra malandata epoca è rappresentato dal modesto livello del ceto politico, dimezzargli gli stipendi come propone Beppe Grillo non pare la soluzione migliore.

SERVIREBBE solo ad incrementare il numero dei politici senza qualità. Ne abbiamo già abbastanza, grazie. Più che di ‘onesti’, ne servirebbero di capaci. Ma cosa potrà mai spingere i più capaci a gettarsi nell’agone politico? Come testimonia il numero record dei voltagabbana in Parlamento, le motivazioni ideali sono merce ormai rara e di difficile reperimento. Venuti dunque meno gli incentivi ideali e precipitato ai minimi storici lo status sociale di chi fa politica, non resta che far leva sugli elementi materiali. Non arriviamo a dire che la politica vada fatta per arricchirsi, ma pretendere che chi fa politica si impoverisca appare davvero troppo. Se infatti è vero che la politica dovrebbe attirare i migliori, altrettanto vero è che i migliori un mestiere spesso ce l’hanno già. E di solito è ben retribuito. Metterlo da parte per ‘darsi’ alla politica sapendo di rimetterci non poco ma molto difficilmente incoraggerebbe quel travaso di cui invece ci sarebbe gran bisogno. Lo testimonia la difficoltà dei partiti a trovare candidati sindaci credibili. Il sindaco di una grande città guadagna infatti 3.500 euro netti al mese. Non poco, certo. Ma non abbastanza per mettere in conto il congelamento di una carriera privata, cinque anni di lavoro ininterrotto e sfibrante, il rischio dell’impopolarità assoluta, la certezza di una più o meno consistente appendice giudiziaria. Roba da masochisti. E infatti alle ultime amministrative, eccezion fatta per Milano, è stato un fuggi fuggi generale: «Candidarmi? Ma che sei matto, e se poi vinco?».

DETTO questo, il fascino popolare della battaglia grillina attorno agli stipendi dei parlamentari è innegabile. Chiaro che il Pd sia in difficoltà. Anche perché, non avendo la forza di contrapporre al qualunquismo il realismo, in questi anni Matteo Renzi non ha mai smesso di vellicare la pancia dell’elettorato anti-Casta. Lo testimonia il fatto che abbia scelto come argomento forte per spiegare la riforma del Senato non la funzionalità delle istituzioni, ma la riduzione delle poltrone e i relativi risparmi che ne deriverebbero. Il premier ha così alimentato un appetito che il M5S, più del Pd, è in grado di soddisfare.