Alessandri: "Technogym è la culla del benessere"

Aveva 22 anni quando nel garage di casa creò il primo attrezzo. Dal 1983, Nerio Alessandri e la sua società hanno fatto balzi da gigante, toccando 512 milioni di euro di fatturati

Nerio Alessandri con Clinton (LPresse)

Nerio Alessandri con Clinton (LPresse)

Bologna, 27 aprile 2016 - QUESTA è un’intervista da leggere, ascoltando Born to run in sottofondo, mescolando il sound di Bruce Springsteen con le parole di Nerio Alessandri, profeta mondiale del wellness. L’uomo che ogni giorno convince e spinge 35 milioni di persone al mondo a correre sui suoi tapis roulant, a sudare sulle sue diavolerie tecnologiche, ad alzare i pesi in 65mila palestre distribuite in 100 Paesi del pianeta. A sfogarsi sulle sue macchine griffate Technogym, inseguendo uno sfuggente sogno italiano, per parafrasare il Boss. Oggi Nerio Alessandri si riposa a Cesena, nella sua wellness valley, dopo le fatiche dei road show a Londra e Milano, in vista degli appuntamenti a New York e Boston per la quotazione in Borsa della sua Technogym.

Come passerà il tempo da qui al 3 maggio, giorno della quotazione? «Le confesso che faccio fatica a dormire la notte. Vivo questi momenti con grande responsabilità, sono focalizzato sulla crescita sostenibile e sullo sviluppo dell’azienda senza strappi. Missione che ci impegnerà molto più di prima». Dal garage di casa a Piazza Affari: un salto alla Steve Jobs con cuore romagnolo... «Avevo 22 anni quando ho disegnato e prodotto il primo attrezzo nel garage di casa mia. Per qualche mese ho continuato a lavorare come progettista in una delle aziende di packaging della frutta tra le più quotate all’epoca. Un posto sicuro, per la gioia di mia madre. Lavoravo il sabato e la notte per Technogym, con cinque operai. Fino a quando mi decisi e dissi a mia madre che preferivo fare la mia azienda, piuttosto che impacchettare pesche e ciliege».  La leggenda vuole che sua madre pianse... «Sì, pianse e non mi parlò per un mese. Ci volle molto tempo per convincerla della bontà della scelta. Ora piango io, perché lei è venuta a mancare due settimane fa». In 30 anni il suo sogno è diventato un piccolo impero.. «La Borsa è un approdo naturale. Per anni abbiamo sviluppato l’azienda con l’aiuto di un fondo di private equity. Chiuso questo ciclo, ora avremo l’opportunità di managerializzare l’azienda, di darle una nuova veste per farla crescere ulteriormente». L’Italia scoprì Technogym quando nel gennaio del 1996 Hermann Simon la inserì tra i suoi «campioni nascosti», 500 aziende sconosciute destinate a cambiare il mondo... «E’ sempre così. Prima ti scoprono gli americani, poi ti considerano gli italiani. Business Week mi dedicò la copertina nel 2004, proprio con il titolo di Hidden champion. Abbiamo lavorato in silenzio per anni, costruendoci una solida immagine nel mondo, sia per la mia azienda che per il Paese. E’ stato motivo d’orgoglio essere riconosciuti come un’azienda che aveva cambiato gli stili di vita». Fu lei a coniare il termine wellness, a battezzare una nuova filosofia di vita... «Non esisteva al mondo il concetto di wellness, lo abbiamo inventato noi. Non è solo benessere, è una visione radicalmente diversa, che ha fatto immediatamente breccia. Non a caso in America mi chiamano il visionario del wellness. Ma nella loro accezione ha un significato positivo, da noi il visionario è sinonimo di folle, di pazzo». Per anni però è rimasto nascosto... «Guardi che per 25 anni consecutivi abbiamo fatto una crescita media del 40%. Altro che nascosto, siamo andati avanti a grandi balzi. Lei pensi che il primo bilancio, quello del 1984, si è chiuso con fatturati per 150 milioni di lire. Oggi siamo a 512 milioni di euro». Prima delle cifre, torniamo alla filosofia. Qual è la sua visione delle cose? «Il mio sogno sta nel nome, Technogym, tecnologizzare il movimento delle persone. Ho da sempre la convinzione che siamo nati per muoverci. I nostri antenati facevano 30 chilometri al giorno, noi oggi ne facciamo meno di due. La sedentarietà è più pericolosa del fumo, le cinque patologie più gravi, dall’obesità alla pressione alta, dall’Alzheimer al diabete, per non citare alcuni tumori, sono colpa dello scarso movimento. Bisogna rimettere in moto il mondo, colmare il gap tra quei 30 e i 2 chilometri di oggi, per stare meglio». Questo è il wellness? «E’ nato duemila anni fa in Italia, a Roma. Allora si chiamava Mens sana in corpore sano, oggi è il nuovo lusso e l’essenza del made in Italy. Perché comprende una regolare attività fisica, una sana alimentazione, un approccio positivo alla vita. In Italia abbiamo l’arte, il design, un’alta qualità della vita. Se mettiamo tutto a sistema, diventeremo il primo produttore di wellness al mondo». Con Tecnhogym come libro sacro della filosofia new age? «Siamo già presenti in 100 Paesi al mondo. Con Rio saremo fornitori ufficiali per la sesta olimpiade consecutiva, da Atlanta 1996. Siamo in tutti i luoghi dove si fa sport ad alto livello, con tante celebrities che usano le nostre macchine. Siamo un brand riconosciuto a livello planetario». ual è il vostro mercato più importante all’estero? «L’Inghilterra, il primo Paese ad aver capito che se tu fai attività fisica nei college e nelle scuole, riduci i rischi di malattie. Se vai in palestra in Gran Bretagna, la tua polizza assicurativa è più bassa. E’ come il bonus malus per l’assicurazione dell’auto». Non siete forti negli Stati Uniti? «Ci siamo concentrati sull’Europa e sull’Asia, sul Giappone in particolare. Ora siamo pronti ad affrontare gli Stati Uniti, dove abbiamo tanti concorrenti. Ma quello che offriamo noi, non ce l’ha nessuno. Siamo wellness connettibili, con un telefonino ti porti la tua palestra ovunque. E come è accaduto con le automobili, che 30 anni fa ruppero un mercato dove compravano solo Ford, Gm e Chrysler, prima di buttarsi su Bmw e Volkswagen, ora accadrà con noi. E’ un mercato enorme, vale il 40% di quello mondiale, con 7,4 miliardi di dollari di fatturati». Non male per chi ha superato il mezzo miliardo di euro... «E’ un traguardo epocale per me. Avevo scritto in un foglietto tanti anni fa che avrei raggiunto i mille miliardi di lire nel 2016. Ho anticipato quel traguardo di un anno, penso che andrò a stappare quella Mathusalem di Moet & Chandon, 5 litri di champagne che mi regalò un mio amico».

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