Martedì 16 Aprile 2024

Addio plastica, solo sacchetti bio. Ma si pagheranno anche quelli

Dal primo gennaio le buste per frutta e verdura non saranno più gratis

Un supermercato in una foto d'archivio (Imagoeconomia)

Un supermercato in una foto d'archivio (Imagoeconomia)

Roma, 30 dicembre 2017 - La lotta all’inquinamento causato dai sacchetti di plastica leggera viene scaricata sui portafogli dei consumatori. Invece di fornire alternative (ad esempio, sacchetti di carta o box in cartone), la normativa entrata in vigore il 13 agosto scorso stabilisce che dal primo gennaio tutte le buste di plastica, anche i sacchetti leggeri e ultraleggeri usati per gastronomia, ortofrutta e macelleria, non possano più essere forniti gratuitamente: gli esercenti che non lo faranno rischiano sanzioni dai 2.500 ai 100mila euro.

La norma recepisce la direttiva Ue 2015/720, ma il bello è che la direttiva non obbliga affatto gli Stati a far pagare i sacchetti ultraleggeri (potrebbero costare 2-3 centesimi l’uno, sostiene Legambiente). La norma Ue stabilisce infatti che «le misure adottate dagli Stati membri includono l’una o l’altra delle seguente opzioni o entrambe». La prima opzione è l’adozione di «misure atte ad assicurare che il livello di utilizzo annuale non superi 90 borse di plastica di materiale leggero pro capite entro il 31 dicembre 2019». Il che, tradotto, significa che bisogna dare delle alternative ai consumatori: sacchetti di carta, ad esempio. La seconda opzione prevista dalla direttiva Ue è «assicurare che, entro il 31 dicembre 2018, le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti vendita di merci o prodotti, salvo che siano attuati altri strumenti di pari efficacia. Le borse di plastica in materiale ultraleggero possono essere escluse da tali misure».

Quindi, ricapitolando, nella direttiva Ue il divieto a fornire borse di plastica leggera gratis è solo una delle opzioni e comunque i sacchetti ultraleggeri potrebbero essere esclusi. E invece nella legge italiana di recepimento si scarica semplicemente l’onere sul cittadino senza offrire alternative che, quelle sì, ridurrebbero il consumo. Se non ha scelta, il consumatore – a differenza dei sacchetti ‘pesanti’ che possono agevolmente essere sostituiti da sporte riciclabili – anche volendo non potrà infatti che continuare a usare sacchetti leggeri e ultraleggeri.

Va detto che la legge un grosso merito ce l’ha: dal primo gennaio le buste dovranno essere biodegradabili e compostabili con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile del 40%. Una percentuale che salirà al 50% nel 2020 e al 60% nel 2021. Inoltre, per le bustine da usare a contatto con il cibo sarà richiesta l’idoneità alimentare certificata. Misure queste sì, molto utili. Ma la tassazione senza fornire alternative è un errore perché – quantomeno nella grande distribuzione – non può produrre risultati in termini di riduzione di quantità o volumi. Del tutto positiva (e senza costi per il consumatore) è invece la norma decisa in un emendamento alla legge di bilancio che introduce il divieto di commercializzazione dal 2019 dei cotton-fioc in plastica non biodegradabile e l’eliminazione dal 2020 delle dannose microplastiche nei cosmetici.

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