Venerdì 19 Aprile 2024

Referendum, Gori: "Misure per i poveri in bilico. No può essere un boomerang"

Docente di politica sociale all’Università di Trento, ha ideato l’Alleanza contro la povertà in Italia

Nella foto Cristiano Gori

Nella foto Cristiano Gori

Roma, 7 dicembre 2016 - Non siano i poveri le vittime della crisi politica. È chiaro e netto l’allarme di Cristiano Gori, docente di politica sociale all’Università di Trento e coordinatore del gruppo Alleanza contro la povertà, fucina dei provvedimenti ad hoc messi in cantiere dal governo Renzi. Che oggi sarebbero a rischio. La crisi di governo, infatti, tiene in bilico quelle misure di contrasto della povertà che restano ancora in attesa di approvazione. «È in discussione in Parlamento – spiega Gori – la delega che introduce il Rei, il reddito d’inclusione, che rappresenta la misura definitiva contro la lotta alla povertà».

Dunque la misura strutturale destinata alle famiglie più in difficoltà rischia di non partire più?

«In questi mesi, come Alleanza contro la povertà – che è il principale soggetto di rappresentanza che si batte per le politiche contro la povertà in Italia e che racchiude 37 tra associazioni, terzo settore, sindacati, comuni e regioni – abbiamo lavorato molto con il governo e il Parlamento, inteso come tutte le forze in gioco, dal Pd ai 5 Stelle. L’obiettivo era arrivare all’approvazione di una misura, il Rei, ben congegnata e rivolta non solo ad alcuni poveri, ma a tutti i poveri assoluti, cioè a tutto quel 7.6 per cento di cui parlano i dati Istat».

L’iter a che punto è?

«Il disegno di legge delega è all’attenzione del Senato. Non abbiamo chiaro quello che accadrà, ma siamo consapevoli che il percorso parlamentare, insieme con quello di riforma intrapreso, rischia di interrompersi».

Se questo dovesse accadere, quali altre misure di contrasto alla povertà resterebbero in piedi?

«I soldi destinati allo scopo rimarrebbero, ma resteremmo con la norma transitoria e non si farebbe il passo verso la misura regina, la più forte, e verso l’obiettivo di trasferirla a tutti i poveri. Rimarrebbe insomma il Sia (Sostegno inclusivo attivo), che è una misura sperimentale, prevista per il 2017 in attesa di far partire il Rei (Reddito inclusivo sociale) nel 2018, e che potrebbe essere procrastinata».

Si rischia insomma, paradossalmente, che il no al referendum da parte delle fasce a più basso reddito possa diventare un boomerang proprio per loro?

«Purtroppo la popolazione con maggiore difficoltà è anche quella più disillusa dalla politica e anche la prima vittima degli effetti della crisi di governo. L’Italia è insieme con la Grecia l’unico Paese ancora privo di una misura di reddito minimo a sostegno di chiunque sia in povertà assoluta. Il governo Renzi ha introdotto una serie di stanziamenti che rimarranno, in quanto strutturali. Ma bisogna vedere, come anticipavo, che cosa accadrà ora».

Oltre un italiano su quattro a rischio povertà, due su quattro al Sud. Le famiglie sempre più in affanno e lo scivolamento del ceto medio verso l’area povertà. Una fotografia preoccupante.

«Siamo nell’indigenza, la povertà dura e pura. In realtà non è cresciuto così tanto il rischio di povertà, è cresciuta invece la povertà assoluta. I dati confermano il profilo dell’Italia un anno dopo i lunghi anni della crisi economica 2007-2014. È un Paese dove non è cresciuta fortemente la disuguaglianza, è cresciuta fortemente la povertà».

Quanto ai giovani, molti non possono neanche prendere in considerazione l’idea di poter formare una nuova famiglia.

«Diciamo che purtroppo sia la povertà che il rischio povertà, per effetto della crisi, sono inversamente proporzionali all’età. Più sei giovane, peggio stai. E infatti la categoria che sta meglio in media in Italia è quella degli anziani. All’opposto, il segmento che ha subìto un vero boom di crescita di povertà e disagio sono i minori. Che vuol dire i figli delle famiglie con genitori giovani, che a loro volta sono quelli che hanno difficoltà legate al lavoro».

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