La crisi fa sparire 500mila artigiani. E le partite Iva sono a rischio povertà

Confesercenti: crollano piccoli imprenditori e lavoratori in proprio. A differenza dei lavoratori subordinati, un autonomo se chiude l’attività non ha sostegni al reddito

Un artigiano

Un artigiano

Roma, 8 ottobre 2017 - La grande crisi si è portata via oltre mezzo milione di artigiani, commercianti, piccoli imprenditori. E così, mentre l’occupazione dipendente torna a crescere, sia pure sotto la spinta dei contratti a termine, raggiungendo e superando quota 17 milioni e 800mila come prima della recessione, i lavoratori autonomi «continuano a sparire»: con la scomparsa di circa 514mila titolari di attività d’impresa indipendenti.  Un calo dell’8,7% che annulla di fatto la ripresa registrata dai lavoratori dipendenti nello stesso periodo. E questo le famiglie che vivono grazie a un reddito da lavoro autonomo sono quelle più a rischio povertà: tanto che nel 2015 il 25,8% dei nuclei familiari di questa categoria ha vissuto stentatamente al di sotto della soglia di rischio-povertà.

A lanciare il doppio allarme sono i vertici della Confesercenti e degli artigiani di Mestre. «Fino a qualche anno fa l’Italia era considerata il Paese dei piccoli imprenditori, ma forse, dopo dieci anni di crisi, non è più così», incalza il segretario generale Mauro Bussoni, che punta l’indice sulla «mancanza di un piano di intervento per il loro rilancio occupazionale». 

La drastica caduta dell’occupazione autonoma (nel secondo trimestre 2017 a quota 5,363 milioni, dai 5,877 milioni del 2008) riguarda praticamente ogni profilo professionale. Calano i titolari di attività imprenditoriali in senso stretto (-10mila, per una flessione del 3,2%). Più che decimati anche i lavoratori in proprio, che nel 2017 sono complessivamente 3,182 milioni, circa 453mila in meno (-12,7%) rispetto al 2008. Dall’«apocalisse del lavoro indipendente – spiegano sempre dalla Confesercenti – non si salvano nemmeno i coadiuvanti familiari, che si riducono di oltre il 21% per circa 84mila posti in meno». 

Crescono invece, ma appena di 34mila unità, pari ad una variazione del 2%, le altre categorie: liberi professionisti, soci di cooperativa e collaboratori.  «Ditte individuali, piccoli imprenditori e lavoratori in proprio – aggiunge Bussoni – hanno sempre caratterizzato fortemente la nostra economia e, nonostante il calo, gli indipendenti costituiscono ancora circa un terzo (30,3%, era il 34,1% nel 2008) del lavoro italiano, pari al 20% circa del nostro Pil». Senza che, però, l’importanza «sistemica» dei lavoratori indipendenti si sia tradotta in un piano di intervento per il loro rilancio occupazionale, come, invece, è accaduto per il lavoro dipendente con il Jobs Act e la decontribuzione. Anzi, l’assenza di reti e forme di protezione e di ammortizzatori sociali ha di fatto sospinto una fetta rilevante di piccoli imprenditori in crisi verso la povertà.  Praticamente – spiegano dalla Cgia di Mestre – una famiglia con reddito da lavoro autonomo su quattro si è trovata in serie difficoltà economiche. Per i nuclei in cui il capofamiglia ha come reddito principale la pensione, invece, il rischio si è attestato al 21%, mentre per quelle che vivono con un stipendio da lavoro dipendente il tasso si è fermato al 15,5. 

«A differenza dei lavoratori subordinati – avvisa il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – quando un autonomo chiude definitivamente l’attività non dispone di alcuna misura di sostegno al reddito».  Un dato per tutti: il reddito delle famiglie con fonte principale da lavoro autonomo ha subìto in questi ultimi anni (2008-2014) una «sforbiciata» di oltre 6.500 euro (-15,4%), mentre quello dei dipendenti è rimasto quasi lo stesso (-0,3). In aumento, invece, il dato medio dei pensionati e di quelle famiglie che hanno potuto avvalersi dei sussidi (di disoccupazione, di invalidità e di istruzione) che sono stati erogati ai nuclei più in difficoltà (+8,7% pari a +1.941 euro). 

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