Giovedì 18 Aprile 2024

Le direttive folli dell'Unione europea. Dai water al sosia del Parmigiano

Un labirinto di regole e formule che penalizza il made in Italy

Una forma di Parmigiano Reggiano (Imagoe)

Una forma di Parmigiano Reggiano (Imagoe)

Bruxelles, 20 ottobre 2017 - L'Europa? Non te ne rendi conto, ma è dappertutto. Perfino dove meno te lo aspetti. Ed è davvero difficile spiegare perché a Bruxelles abbiano speso 90mila euro e due anni di studio per capire come devono essere sciacquoni e tazze se vogliono avere il bollino di qualità dell’Ue. Sembra incredibile, ma il rapporto sui water closet, redatto da un pool di cervelloni, esiste davvero ed ha prodotto anche una ‘decisione europea’, la 2013/641. Risultato: per avere wc a regola d’arte abbiamo dovuto di nuovo mettere mano ai portafogli e adeguarci alle nuove norme. Come quella che, ad esempio, nel 2017, ha introdotto l’obbligo delle ‘valvole termostatiche’ su tutti i nostri termosifoni.

Colpa di una direttiva europea (2012/27), recepita nel tradizionale decreto mille proroghe di due anni fa e che ha finito per pesare ancora una volta sul portafoglio di proprietari e inquilini. Vogliamo parlare delle regole sulle emissioni di Co2 che ci obbligano, un anno sì e l’altro pure, a cambiare auto se vogliamo circolare liberamente in città pur pagando bolli e assicurazioni per l’intero anno solare? Altra grana di non poco conto nel nome della santa crociata per la difesa dell’ambiente. La ‘smania’ regolatrice degli euro-burocrati costa cara. Carissima. Ne sanno qualcosa i pescatori dell’Adriatico che rischiano una multa fino a 4mila euro se si azzardano a pescare vongole di diametro inferiore a 2,5 centimetri. Una stangata dal momento che negli ultimi anni è diventato sempre più difficile pescare mitili di dimensioni superiori.

Stesso discorso anche per le regole che hanno dato il via libera al cioccolato surrogato e all’imitazione del parmigiano reggiano. La mozzarella di bufala, altro vanto della nostra produzione, è stata seriamente danneggiata dalla direttiva che ha imposto all’Italia di cancellare per decreto un’arma micidiale contro le sofisticazioni, quel metodo che consentiva di distinguere i prodotti realizzati usando polvere di latte anziché latte fresco. Con la buona pace dei consumatori, che non sanno quello che mangiano e dei produttori italiani, vittime della concorrenza sleale delle mozzarelle prodotte soprattutto nei paesi dell’Est.

Per non parlare, poi, dell’olio d’oliva. I regolamenti sono così numerosi e complessi, con formule e definizioni così numerose e complesse che la lettura di un trattato di fisica quantistica può essere considerata una passeggiata. E se, dietro queste formule, non ci fosse altro che la strategia di favorire alcuni Paesi e danneggiarne altri? Le associazioni dei produttori agricoli ne sono più che convinte e, di tanto in tanto, oltre a protestare nelle piazze italiane azzardano qualche viaggio in Europa. Tornando a casa con i nervi a pezzi e con scarsi risultati.Tutto inutile se si pensa che i nostri mercati sono stati letteralmente invasi dai prodotti made in China mentre le battaglie per tutelare il Made in Italy si sono scontrate contro il muro di gomma di una normativa comunitaria che in teoria difende il ‘libero scambio’ e che, nella pratica, spesso sembra fatta apposta per penalizzare i nostri prodotti.

Così, la contraffazione uccide ogni anno 110mila posti di lavoro costando allo Stato un minor gettito fiscale di 1,7 miliardi. Senza considerare poi le tante norme che incentivano le aziende a cambiare Paese o ad assumere all’estero lavoratori a buon mercato coperti da tutele contrattuali minori e onere contributivi facilmente aggirabili: si spiegano così gli infermieri polacchi o i camionisti che arrivano dall’Europa dell’Est.

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