Lunedì 22 Aprile 2024

Boccia gela l’entusiasmo: "Crescono poche imprese. Le diseguaglianze pesano"

Confindustria: "Frenati dal carico fiscale, dal costo dell’energia che aumenta e dalla burocrazia"

Vincenzo Boccia (Imagoeconomica)

Vincenzo Boccia (Imagoeconomica)

Roma, 16 luglio 2017 - I numeri indicano che l’Italia ha ripreso a muoversi. Il Pil a più 1,4% va ben oltre le previsioni dello stesso governo. Siamo davvero fuori dal tunnel della più lunga crisi del Dopoguerra?

«Quella che viviamo è una forte inversione di tendenza – avverte Vincenzo Boccia, numero uno di Confindustria –, ma non dobbiamo dimenticare che aumentano i divari. Solo un 20 per cento delle imprese partecipa davvero e attivamente a questa nuova stagione di crescita mentre un 60 per cento si trova in mezzo al guado e il restante 20 deve ancora fronteggiare la crisi. Insomma, una parte rilevante del sistema industriale è ancora in una fase di transizione».

Anche i cittadini, d’altra parte, come indica il nostro sondaggio, si mostrano scettici e ancora sfiduciati: la ripresa percepita è al di sotto di quella reale o ci sono conti che non tornano?

«La diversa percezione dipende dai divari che esistono tra cittadini, Paesi, giovani e anziani, città e provincia. Dobbiamo comprendere, insomma, che la crescita è solo una precondizione e non un fine essendo quest’ultimo il contrasto convinto di disuguaglianze e povertà. E per colmare i divari occorre costruire una grande stagione del lavoro e della competitività».

Ma perché cresciamo meno degli altri? Quali ostacoli ci impediscono di muoverci allo stesso ritmo degli altri Paesi?

«Le criticità che dobbiamo fronteggiare sono tante: dal global tax rate maggiore di 20 punti rispetto alla Germania, al 30 per cento in più di costo dell’energia, dal costo del lavoro aumentato del 30 per negli ultimi 15 anni (sempre rispetto alla Germania) ai tempi della giustizia condizionata da regole dogmatiche, dalla burocrazia poco collaborativa ai bassi investimenti pubblici. Eppure, nonostante questo, restiamo il secondo Paese manifatturiero d’Europa».

Lei si è pronunciato contro quello che, da più parti, è definito populismo giudiziario. Che cosa teme per le imprese?

«Serve recuperare equilibrio nella regolamentazione dei fenomeni che attengono all’attività di impresa. Non si può partire dalla premessa che l’impresa sia qualcosa solo da controllare e limitare piuttosto che da supportare. Purtroppo questa è la deriva alla quale assistiamo sempre più spesso nel diritto amministrativo e in quello penale nel nostro Paese. Si moltiplicano divieti e sanzioni, si riducono le garanzie. Non è accettabile che, nel secondo Paese manifatturiero d’Europa, vi sia un tale profondo senso di sfiducia verso gli imprenditori».

Abbiamo comunque ricominciato a marciare. Come non rendere effimera questa occasione?

«La prima cosa è non delegittimare le cose buone fatte come i super ammortamenti e gli iper-ammortamenti di Industria 4.0. Poi occorre attivare senza indugio gli investimenti pubblici anche attraverso il contratto di programma con l’Anas e portare a termine il percorso per l’applicazione delle misure a favore delle imprese energivore. Nel medio termine occorre puntare sempre più sulla politica dei fattori che premia l’offerta: più investimenti, più export, più occupazione, più domanda».

Il prossimo step è la manovra: quale la carta giusta?

«Non avremo grandi margini, ma la soluzione è insistere sugli strumenti selettivi a partire dall’inclusione in larga scala dei giovani attraverso l’azzeramento del cuneo fiscale proposto da Confindustria e accolto con favore da gran parte delle forze politiche».

Come valuta l’ultima proposta di Renzi sul deficit al 2,9 per liberare 30 miliardi per 5 anni per ridurre le tasse?

«Di certo occorre cambiare il paradigma seguito finora da tutti i governi. Piuttosto che partire dai saldi di bilancio e arrivare alle misure per il Paese occorre partire dagli obiettivi – chiari, definiti, misurabili – per poi scegliere gli strumenti e solo alla fine valutare l’impatto sul bilancio».

Ma che cosa devono fare, a loro volta, le imprese per salire sul treno in movimento?

«Alle imprese tocca cavalcare la quarta rivoluzione industriale che è prima di tutto un processo culturale per giungere a un’industria ad alto valore aggiunto, alta intensità di investimenti, alta intensità di produttività e che sia eccellente in ogni funzione aziendale. Possiamo contare sui tanti strumenti oggi disponibili per crescere anche senza debito, per esempio partecipando alla piattaforma Elite, o perfino restando piccoli, attraverso i contratti di rete». 

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