Buoni pasto, nuove norme. Basta nomi e il cumulo si può fare

Li usano 2,5 milioni di italiani per un giro d'affari che vale 3,4 miliardi l'anno. Modifiche per renderli più semplici

I loghi di vari buoni pasto (Newpress)

I loghi di vari buoni pasto (Newpress)

Milano, 8 marzo 2017 - Servono per pagare oltre 500 milioni all’anno di pranzi al bar, in un fast food o in trattoria. Ma spesso vengono anche utilizzati per fare la spesa in negozi o supermercati o pagare la cena in pizzeria. Stiamo parlando dei buoni pasto. I ticket che le aziende, pubbliche e private, danno ogni mese ai propri dipendenti in sostituzione di quello che una volta era il servizio mensa. E che nel corso degli anni sono diventati una integrazione al reddito. In realtà, l’utilizzo dei buoni pasto sarebbe limitato alla loro funzione originaria: essendo un ticket sostitutivo del pasto se ne potrebbe utilizzare uno solo al giorno. Ma proprio perché, nella realtà, il loro uso si è ampliato anche la legge si sta adeguando e quindi sono in arrivo nuove norme per un utilizzo meno vincolato. In particolare la possibilità di cumularli, oggi vietata dalla legge.

Il mercato dei buoni pasto vale circa 3,4 miliardi di euro all’anno e secondo l’Anseb e la Cobes, le principali associazioni a cui aderiscono le aziende che emettono i ticket, li utilizzano oltre 2,5 milioni di lavoratori con più di 120mila esercizi convenzionati. Proprio perché sono diventati così diffusi e nella pratica vengono già usati in contrasto con le norme di legge, il governo ha deciso di adeguare le normative. Anche perché con la diffusione dei buoni pasto elettronici, che coprono ormai oltre il 15% del mercato e per i quali il valore esentasse era stato elevato dai 5,29 euro dei buoni cartacei a 7 euro, i comportamenti non corretti (come l’uso di più ticket alla volta) sono diventati a maggior rischio di essere scoperti e sanzionati grazie alla tracciabilità dei buoni digitali strisciati su Pos simili a quelli del bancomat o delle carte di credito.

Per questo era necessario un cambiamento che, spiega Gregorio Fogliani, presidente di Qui! Group, la prima azienda a capitale italiano che opera in questo settore, andasse incontro alle modifiche del mercato, degli stili di vita e dei prezzi delle consumazioni, nel rispetto della natura del buono pasto che non deve essere comunque mai ridotto a un mero buono spesa. Il decreto, preparato dal ministero dello Sviluppo economico e che ha ricevuto già il via libera del Consiglio di Stato, prevede appunto la possibilità di cumulare i buoni pasto sia al bar, al ristorante o anche in negozi di alimentari, gastronomie o supermercati.

Il via libera al cumulo (probabilmente un po’ meno dei dieci buoni inizialmente previsti perché nel suo parere il Consiglio di Stato ha consigliato un numero leggermente inferiore) favorirà l’acquisto per esempio di cibi pronti, da consumare poi durante la settimana, al supermercato, e quindi non stupisce che questo cambiamento sia stato caldeggiato dalla Grande distribuzione. Viceversa è stato fortemente criticato dalle associazioni dei pubblici esercizi perché snaturarne l’uso originale come buono sostitutivo della mensa, avverte Esmeralda Giampaoli, presidente della Fiepet-Confesercenti, aumenterà la crisi che sta già colpendo questo settore.

Le nuove norme non introdurranno invece, come auspicato sempre dal Consiglio di Stato per una maggiore flessibilità d’utilizzo, l’obbligo di indicare sul buono il nominativo del titolare ma viene confermato l’obbligo della firma al momento della consegna. Sui ticket quindi dovranno essere indicati la ragione sociale e il codice fiscale della società di emissione, il valore facciale, il termine di utilizzo e lo spazio per apporre la data d’uso con il timbro dell’esercizio convenzionato. Resta anche la dicitura sulla non cedibilità del buono mentre cambia quella sulla possibilità di cumularli, finora una possibilità non consentita.

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