Giovedì 18 Aprile 2024

Banche venete, Consoli e Zonin i gemelli del crac. Un impero fondato su bluff e lussi

Ai vertici per 20 anni hanno portato al dissesto Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca

Giovanni Zonin e Vincenzo Consoli (Newpress / ImagoE)

Giovanni Zonin e Vincenzo Consoli (Newpress / ImagoE)

Roma, 26 giugno 2017 - Tanti piccoli Plutarco si cimentano in queste ore a raccontare le vite parallele di Gianni Zonin e Vincenzo Consoli, i dogi del credito veneto. In qualche caso, anni fa, gli stessi vestivano i panni di Tigellino, cantori della munificenza e competenza dei due banchieri, capaci di fare grandi due istituti popolari, regnando su un Nord Est, locomotiva, o sedicente tale, di un’Italia in crescita.  La storia dei crac bancari italiani è una storia in larga parte scritta da cattivi banchieri. Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca sono solo capitoli di un libro che comprende Giuseppe Mussari e Antonio Vigni di Banca Mps, Fornasari, Rosi e papà Boschi di Banca Etruria, Massimo Bianconi di Banca Marche, Giovanni Berneschi di Carige, già condannato a 8 anni per associazione a delinquere e riciclaggio. «Mi hanno trattato come un gangster» ha detto Berneschi alla lettura della sentenza. Non ci è andato lontano, il neologismo più azzeccato, coniato per questa generazione di manager, è «bankster».    Gianni Zonin e Vincenzo Consoli sono il miglior esempio di simul stabunt, simul cadent. Come Castore e Polluce, insieme sono saliti al vertice di Vicenza e Veneto Banca, tra il 1996 e il 1997. E insieme, a distanza di pochi mesi, nel 2015 sono stati detronizzati. Travolti dalla valanga di crediti deteriorati, dai prestiti concessi troppo facilmente e con poche garanzie a tutto il gotha dell’imprenditoria del Veneto, spesso in cambio di partecipazioni agli aumenti di capitale, dal bluff sul valore delle azioni delle due Popolari, che la riforma voluta da Renzi ha smascherato palesemente, come nella favola del vestito nuovo dell’imperatore. Più tutta una serie di comportamenti da dogi: dal famoso jet privato usato da Consoli per gli spostamenti da Montebelluna, agli investimenti del banchiere vignaiolo Zonin, re delle cantine e sponsor di società sportive e di film da Oscar come «La grande bellezza».

Hanno regnato per 20 anni sulle due banche, usando gli stessi metodi. Grandi mecenati nei confronti dei territori di appartenenza (altro comune denominatore con tutti i banchieri nei guai, da Siena a Genova), mossi dal desiderio di far crescere la galassia del Veneto (Zonin comprò CariPrato e si candidò a rilevare anche la Banca Popolare dell’Etruria, spinto da una bella fetta di politici) e di nascondere le difficoltà delle due banche alzando costantemente la posta. Sia Consoli che Zonin confermano l’immortale frase di Brecht nell’Opera da tre soldi: «Che cos’è un grimaldello di fronte a un titolo azionario? Che cos’è rapinare una banca di fronte alla fondazione di una banca?».

Le azioni di Bpvi e Veneto Banca sono state molto più di un grimaldello, i due banchieri hanno emesso titoli, fissando prezzi di fantasia. Il titolo di Vicenza era valutato 62,5 euro, quello di Veneto Banca 39,5. Due enormi bluff, che sono durati troppo anche per colpe di controllori distratti. Quando l’anno scorso il Fondo Atlante ha ricapitalizzato le due banche, ha valutato quelle azioni 10 centesimi. Gli amici dei due banchieri si erano salvati, le avevano vendute molto prima a prezzo pieno, comprandole per avere prestiti milionari. Ma 88mila soci di Veneto Banca e 111mila di Vicenza hanno visto sfumare i loro risparmi.

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