Venerdì 19 Aprile 2024

Alberto Vacchi: "Individualismo e poco coraggio. Imprenditori è ora di cambiare"

L'industriale: "Non bisogna temere fusioni o accorpamenti"

Alberto Vacchi (Iguana Press)

Alberto Vacchi (Iguana Press)

Bologna, 15 agosto 2016 -  «Meno individualismo. E soprattutto guai a dire abbiamo sempre fatto così, è l’errore peggiore». L’imprenditore bolognese Alberto Vacchi guida l’Ima, società che fa impallidire qualsiasi gufo (nel 2016 prevede di chiudere con ricavi per un miliardo e 270 milioni) e ha idee chiare su che cosa cambiare per rilanciare l’industria.  Vacchi, è anche colpa degli imprenditori italiani?  «Non voglio dare giudizi, perché conta sicuramente il mercato e il contesto in cui si è inseriti...». Però?  «È evidente che bisogna affrontare il mercato in maniera proattiva e non passiva, avendo anche il coraggio di fare salti importanti». Ovvero ci vuole più coraggio di cambiare?  «Vede, è facile dire metto al centro il cliente, più difficile declinarlo. L’innovazione tecnologica non basta se non si educa il top management a lavorare insieme: una cosa che sembra complicata nel contesto italiano e normalmente non si fa». Perché dice che non è facile in Italia?  «Perché qui esiste la tendenza a essere individualisti. Ma nel mercato di oggi l’individualismo non paga più. Se la genialità non collabora con un sistema coeso che crede in ciò che fa, non ha forza».  Collaborazione fra imprese, dunque. Ma molti imprenditori ne hanno paura. «Tutto ciò che ruota attorno a un’azienda serve. Quando si entra in un percorso di acquisizioni, in realtà si riducono i costi e si costruisce una rete di alta qualità sul territorio». Resta troppa gelosia per la propria azienda? «L’individualità aziendale non paga più. In passato ha pagato, ma oggi serve la voglia di mettere in comune eccellenze e qualità, anche rinunciando a un pezzetto di margine o di leadership. Il modello italiano è diverso da quello tedesco. Noi viviamo di reti orizzontali, che riescono a fronteggiare dal punto di vista competitivo la concorrenza internazionale. Bisogna avere il coraggio di valorizzare questo aspetto. Solo mettendo in comune le forze delle aziende si fronteggia il contesto economico».  Questo è il vostro modello, ma i dati Istat parlano di un’industria che non riesce a crescere in Italia.  «Esistono imprese in difficiltà per il contesto territoriale o per il mercato, ma anche perché non hanno il coraggio di cimentarsi nella sfida del cambiamento, della condivisione dei percorsi, sfidando le ritrosie storiche degli imprenditori a condividere passaggi, fusioni, partecipazioni». Il peccato originale di molti imprese è la dimensione?  «Certo. Che non si risolve solo comprando aziende, ma unendosi. Si perde un pezzo di sovranità, ma si condivide un percorso di crescita e si acquisisce la possibilità di costruire prodotti particolarmente interessanti. Per noi ha significato anche riportare in Italia la produzione che avevamo spostato all’estero in Paesi a basso costo. In Italia le professionalità sono eccezionali: il tema del costo del lavoro è falso».  Alt, questo smentisce una lamentela comune a molti imprenditori... «In termini di costo complessivo non siamo fuori mercato, anzi. Rispetto alla Germania qui è più conveniente».  Resta il cuneo fiscale. «Sì, è uno dei grandi temi. Ma va ridotto per mettere più soldi in tasca ai lavoratori». Quando lei suggerisce queste idee ai suoi colleghi imprenditori che succede? «Ho trovato resistenze, certo, ma quando queste resistenze sono vinte, nella maggior parte dei casi la conseguenza è stata un balzo in avanti impensabile per l’impresa. L’approccio migliore è non avere paura di organizzare la propria azienda in maniera completamente diversa rispetto al passato». Perché molti imprenditori temono la Borsa? «La Borsa va vista come opportunità di crescita equilibrata. Ma serve disponibilità alla trasparenza e impone di non raccortarsi da solo fandonie. Ma è anche uno sprone perché aiuta a cambiare».  

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