Mercoledì 24 Aprile 2024

Il Dna sopravvive dopo la morte, la scoperta sui topi

I test all’Università di Washington di Seattle: alcune cellule resistono fino a quattro giorni

Una scena del film 'La moglie di Frankenstein'

Una scena del film 'La moglie di Frankenstein'

Roma, 24 giugno 2016 - LA NOTIZIA, anche se per il momento non ha l’avallo della comunità scientifica, farà sicuramente discutere e intrigherà non pochi perché è collegata a uno dei grandi misteri della vita. E la notizia sensazionale è questa: il Dna non ha nessuna intenzione di morire subito, ma vuole prendersi una rivincita sulla morte. Detta così sembra quasi una versione riveduta e corretta della famosa «partita a scacchi con la morte» del film “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergmann e se nel film la morte ha partita vinta, oggi la vecchia con la falce, prima di poter cantar vittoria, dovrebbe aspettare qualche giorno. Più precisamente dovrebbe attendere quattro giorni. Beh, direte voi, cosa sono quattro giorni di fronte all’eternità che si affaccia sull’orlo dell’abisso? Poca cosa, senz’altro, ma è pur sempre una piccola soddisfazione dello sconfitto e una dimostrazione semplice e banale che la vita… vuole vivere.

ATTENZIONE, però, perché la notizia va raccontata per intero. Questa storia del Dna che vive quattro giorni dopo la morte è stata dimostrata dal microbiologo Peter Noble dell’Università di Washington di Seattle che però ha condotto studi non su un organismo umano ma su cavie di laboratorio: i soliti topi, che in un laboratorio serio non mancano mai, e su “pesci zebra” che pare siano gli oggetti più studiati nei laboratori di tutto il mondo. Centinaia di geni, dunque, secondo gli studi del biologo, continuano a funzionare in barba alla morte. Non è detto, insomma, che la morte si porti via tutto perché alcuni processi interni, dati alla mano, possono proseguire anche per alcune ore o addirittura per giorni.

NON BISOGNA, però, lasciarsi sedurre dalla tentazione di affermare che con questa ricerca la scienza ha dimostrato l’esistenza della vita oltre la morte. Sarebbe un voler banalizzare un problema che è più di competenza della religione o della filosofia più che della biologia. E poi non sta scritto da nessuna parte che sia compito della scienza svelare certi misteri. La notizia, tuttavia, al di là dei problemi etici ad essa connessa, può avere sicuramente delle ricadute nel nostro quotidiano e spalancare, ad esempio, nuove prospettive nel campo dei trapianti. Questo “surplus” di vita, infatti, potrebbe migliorare le tecniche di conservazione degli organi destinati ai trapianti. Secondo altre voci, invece, la notizia potrebbe rivelarsi un ottimo strumento di indagine per la medicina legale.

NON BISOGNA tuttavia andare oltre la notizia. Che la molecola del Dna possa mantenere, in certe condizioni, la propria attività anche dopo la morte dell’“animale” al quale appartiene è un fatto appurato. Il biologo Carlo Alberto Redi dell’Università di Pavia cita come esempio l’uomo di Neanderthal, l’ominide assai simile all’homo sapiens che ha vissuto nel paleolitico medio, vale a dire fra i 200 mila e i 40 mila anni fa. Alcuni tratti del genoma di questo “essere” si sono conservati intatti fino a noi e dunque la notizia del Dna che sopravvive per quattro giorni non deve stupire più di tanto. Ma al di là delle motivazioni scientifiche la notizia ha tuttavia una sua presa emotiva. Pensare che una parte di noi possa sopravviverci, anche se per poco, soddisfa in fondo quel desiderio di immortalità che è insito in ogni uomo. Ma i nuovi Prometeo, Frankenstein e Faust dovranno ancora attendere per realizzare i loro progetti di immortalità. Quattro giorni, ricordiamolo ancora, sono ben poca cosa. Ma a volte, pur di esorcizzare antiche paure, ci si può accontentare anche di poco.