Martedì 16 Aprile 2024

Disastro Emilia: il vuoto ai seggiBonaccini vince, exploit leghista

Rita Bartolomei BOLOGNA UN ALTRO choc nell'Emilia Romagna degli scadali per le spese allegre: l'affluenza alle regionali si ferma al 37,67%. Un baratro. Il candidato del centrosinistra Stefano Bonaccini, renziano, è presidente sì, ma in uno scenario mai visto prima. Fa meglio Mario Gerardo Oliverio in Calabria, che fino a ieri nella mappa democratica era proprio un altro mondo. La terra rossa del nord perde un milione di voti dalle Europee, stavolta sono andati a votare 1 milione e duecentomila persone. Più del 30% in meno dal 2010. Addirittura molti punti sotto la Calabria, che supera il 44% con un candidato della minoranza. E COSÌ, nel derby tutto interno al Pd, il sud strappa una vittoria che avrà un peso politico. Ma soprattutto fa a pezzi il mito dell'Emilia Romagna terra rossa. Fa impallidire anche il 47,60% di elettori che l'anno scorso scelsero il presidente della Basilicata. Nella Regione governata per quindici anni da Vasco Errani dimissionario a luglio perché condannato in appello per falso ideologico ci si ferma a più di trenta punti sotto il 2010, quando andò a votare il 68% degli elettori. Lo spoglio delle schede parte con un clamoroso testa a testa tra Bonaccini e Alan Fabbri, il leghista sostenuto anche da Forza Italia e dai Fratelli d'Italia. Illusione di un momento. Poi alle 2 di notte, quando si è superato un terzo delle schede scrutinate, con 1.606 sezioni su 4.512, si alza una barriera di sicurezza che vale quindici punti, il democratico è in testa con il 47,72% sul 31,71%. Il dato vero è che i padani fanno un balzo incredibile dal 5% delle Europee e si mangiano Berlusconi (quasi 21 contro quasi 9%) mentre i grillini resistono (superano il 13%, a maggio erano sopra il 19). Renzi si mostra sicuro ma le dichiarazioni dei big già prima dei risultati finali lo isolano. «Sorprende», ragiona in serata Romano Prodi sul sorpasso della Calabria che s'intravede già dall'affluenza delle 19, perché l'Emilia Romagna «di solito è di 11-12 punti percentuali superiore, quindi c'è una particolare situazione di malessere». E non si cambia musica nemmeno a Campogalliano, il paese del presidente. Bonaccini se lo sentiva, forse aveva i sondaggi. Dopo il 10 punto 8 di mezzogiorno si attacca al telefono e sprona i candidati: al lavoro! Le minoranze prendono fiato. Pippo Civati: «Dati disarmanti. Se andiamo avanti così perde la democrazia». «È UN PROBLEMA di fiducia non di voti», ragiona un esponente di spicco del tortello magico, e va da sé che i voti se ne vanno perché non c'è fiducia. «Siamo nel bel mezzo di un cambiamento disordinato ammette una candidata del Pd . È stata una campagna elettorale strana. Eravamo tutti più liberi. Il partito non c'è stato. O meglio, c'erano tanti pezzi di Pd, in giro. Cosa diventeremo? Non è chiaro». Suona l'ora della vendetta: «Hanno voluto il partito leggero? Eccolo», buttano in faccia agli altri quelli della ditta. Non c'è più una regia. E adesso? Lo scoramento a sinistra è alto. «La strada di Bonaccini parte tutta in salita».