Sabato 20 Aprile 2024

Dimissioni Marino, un pomeriggio di un giorno da sfiduciati. Successione, spunta Marchini

Ignazio Marino ha provato a uscire dall'angolo, ma dopo l'assedio di Pd e giornali le dimissioni sono diventate ineludibili. Totonomi nel Pd per la successione: se salta Giachetti si fa avanti l'ipotesi Alfio Marchini

Alfio Marchini (Foto Dire)

Alfio Marchini (Foto Dire)

Roma, 8 ottobre 2015 - Alla fine, Marino si è dimesso con un flash di agenzia battuta poco prima delle otto di sera, in tempo per i tg, ma anche con un videomessaggio su Facebook in cui spiega le sue motivazioni e un tentativo di uscire dall’angolo (“Posso ritirare, per legge, le mie dimissioni entro venti giorni, resto in attesa di una verifica”) che sa tanto, però, di mossa della disperazione. Lo scenario, del resto, è stato da tregenda tutto il giorno.

Il Pd ha riunito prima i suoi organismi dirigenti, poi i suoi assessori (che si sono dimessi come le ciliegie, uno via l’altro: prima il vicesindaco Causi, poi Sabella, poi Esposito, infine anche Rossi Doria e la Di Liegro…), infine i suoi consiglieri comunali. Marino resiste all’assedio, prova a reagire, preannuncia rivelazioni eclatanti e scomode per il Pd (e, nel messaggio, dirà: “Solo io ho fatto da barriera al malaffare e alla corruzione nel Pd e al Campidoglio”, come dire: tutti gli altri no…), ma il Pd gli fa il vuoto intorno. A un certo punto il sindaco si barrica nella sua stanza al Campidoglio e non risponde più a nessuno se non ai suoi più stretti collaboratori cui continua a ripetere solo “Io non mollo. Se cado io, a Roma torna tutto il malaffare”.

Al Pd tremano i polsi nelle vene. La riunione di giunta, convocata a ora di pranzo, è andata malissimo: gli assessori lo spingevano alle dimissioni e il sindaco replicava dando del ‘mafioso’ a chi gliele chiedeva, poi ognuno – sindaco e assessori – andava per la sua strada: gli assessori al Nazareno, Marino nel suo ufficio. Nel Pd - dove il rapporto di collegamento con Sel non si è mai interrotto mentre invece la destra di Fratelli d’Italia, Casa Pound, la Lega e, soprattutto, i grillini prendevano d’assalto e di mira piazza del Campidoglio chiedendo a squarciagola le dimissioni - si cercava una exit strategy molto complicata. L’iter era questo: convocazione del consiglio comunale da parte del presidente, convocazione della conferenza dei capigruppo e richiesta di calendarizzazione della mozione di sfiducia, da parte dello stesso Pd, al suo sindaco. Tempi biblici, dati i tempi mediatici dell’attualità. Il Pd sarebbe stato cucinato a fuoco lento dai e sui media e la Capitale sarebbe finita nel caos.

Poi, per fortuna, a sera tarda Marino cedeva e annunciava le dimissioni, depresso e sbugiardato dai giornali. Ora nel Pd si parla solo e già del toto-candidato: se Roberto Giachetti dovesse rinunciare, nonostante il pressing che su di lui Renzi e tutti i renziani esercitano, si aprirebbe la strada per una candidatura di Alfio Marchini, già sceso in campo alle ultime elezioni con una sua lista civica, candidatura che però potrebbe avere senso solo nell’ottica di vera costruzione del ‘Partito della Nazione’ con verdiniani, azzurri, centristi. Altrimenti, dato che il prefetto, Franco Gabrielli, farà probabilmente il commissario straordinario di Roma da qui alle elezioni (che verranno accorpate alle amministrative di maggio 2016 insieme a molte altre città) trovare un candidato sindaco, per il Pd, sarà davvero arduo. Una cosa è sicura: il Pd non terrà le primarie. Renzi sceglierà, stavolta, in piena solitudine, magari cercando di pescare nella nuova/vecchia società civile (si parla di Giovanni Malagò, che guida il Coni) come Renzi già pensa di voler fare, per dire, a Milano con il commissario all’Expo Giuseppe Sala. Ma il rischio che la marea grillina sommerga e sovrasti Roma è forte.