Otto anni fa il delitto di Chiara Poggi. La madre: "Siamo vicini alla verità"

Garlasco, dopo la condanna di Alberto Stasi si attende la Cassazione. Intanto, otto anni dopo Stasi è disoccupato e "presunto colpevole" / LE TAPPE DELLA VICENDA di Gabriele Moroni

Chiara Poggi (Sacchiero)

Chiara Poggi (Sacchiero)

Garlasco (Pavia), 13 agosto 2015 - Chiara Poggi  è qui, nel villino di via Pascoli a Garlasco, accanto ai genitori, al fratello. Come se non avesse smesso di vivere quel lunedì 13 agosto del 2007, quando un’arma improvvisata, un corpo contundente mai recuperato, straziò la sua vita di ventisei anni. A scoprire il corpo il fidanzato Alberto, all’epoca ventiquattrenne, laureato alla Bocconi. Lo scorso dicembre l’appello bis ha condannato a 16 anni di reclusione Alberto Stasi, due volte assolto in precedenza in altrettanti giudizi, per l’omicidio di Chiara Poggi. Rita Preda in Poggi attende. Non la figlia perché la sente, la vive sempre accanto a sé. Attende la messa che stasera, come ogni anno, la ricorderà nella chiesa parrocchiale di Garlasco. Attende che la Cassazione metta fine alla sua lunga, dolorosa battaglia.

La mamma di Chiara Poggi

Signora Rita, otto anni dopo. Qualcosa è cambiato, qualcosa di importante. C’è stata una sentenza. «Sì, è un anniversario un po’ diverso. È vero. Ma in questo momento si ricorda la figlia. La vicenda giudiziaria la si lascia da parte. Poi riprenderà, andremo avanti. Sono sempre andata avanti».

È stata una sua grande lotta... «Era mio dovere fare tutto questo. Non potevo fermarmi. Dovevo farlo. Chiara mi ha aiutata, mi ha dato tanta forza anche nei momenti più difficili. Speriamo che si chiuda. Con la verità. L’unica. Quella che è negli atti del processo».

Siete tornati a vivere in questa casa dove tutto parla di sua figlia. «È la casa di Chiara. Ci siamo tornati perché non aveva senso scappare. È tutto uguale, tutto come lei lo ha lasciato. Abbiamo fotografato la sua cameretta per poter rimettere le cose com’erano. Ci sono i suoi due gattini. È un po’ come averla qui».

Alberto Stasi (Newpress)

Garlasco ricorda Chiara? «La ricordano tutti quelli che le hanno voluto bene. Per la messa la chiesa è sempre affollata. Il Comune ha istituito delle borse di studio che premiano tre ragazzi usciti dalla terza media. Una commissione valuta in base all’impegno nello studio e alle votazioni scolastiche, ma anche alle affinità dei loro caratteri con quello di Chiara, se la ricordano nella sua solarità, in altri tratti. La consegna è a settembre. Una cosa molto bella».

Alberto Stasi ha dichiarato che ogni settimana prega sulla tomba di Chiara e che un giorno vorrebbe incontrare voi genitori. «A questo non rispondo».

Il sorriso dolce, quello a cui ci ha abituati, svanisce dal viso di Rita Poggi. Lo ritroverà fra poco, immergendosi in questa casa dove ogni angolo, ogni oggetto parlano della figlia a una grande madre: i libri di Chiara, le riviste di moda accanto al letto, i peluche, nell’armadio gli abiti e il vestito della laurea, i cerchietti per i capelli, le fotografie.

L’11 dicembre la Cassazione, forse l’ultima tappa di una storia infinita. La procura generale di Milano chiede che venga riconosciuta per Stasi l’aggravante della crudeltà, caduta invece davanti ai giudici della prima Corte d’Assise d’appello. Per il sostituto pg Laura Barbaini, l’ex bocconiano andò oltre quanto era necessario a provocare la morte della ragazza. Lo dimostrano “la circostanza ulteriore del disumano trascinamento e lo stesso lancio a testa in giù del corpo lungo le scale della cantina prima e non dopo avere inferto il colpo mortale”. Le 360 pagine del ricorso dei difensori Angelo Giarda e Giuseppe Colli (cui si è aggiunto l’avvocato cassazionista Antonio Albano) sono un unico attacco alla sentenza di condanna. Il caso del dispenser di sapone liquido nel bagno di casa Poggi dove rimasero impresse due impronte digitali di Alberto: l’assassino, sostiene la difesa, entrò nel locale senza lavarsi. Il Ris non ha rintracciato sul dispenser, sul rubinetto, sul lavandino, nel sifone, alcuna traccia ematica, ma soltanto il Dna della vittima misto a quello della madre. La bicicletta: Stasi usava la sua, da uomo, e non altre. Quella trovata nel magazzino del padre era inutilizzata da anni e comunque molto differente da quella scorta dalla vicina Franca Bermani, la mattina del delitto, di fronte all’abitazione di Chiara.

gabriele.moroni@ilgiorno.net