Sabato 20 Aprile 2024

Curiel: "La Couture è viva"

di EVA DESIDERIO

Raffaella Curiel con la figlia Gigliola tra le modelle (Olycom)

Raffaella Curiel con la figlia Gigliola tra le modelle (Olycom)

Milano, 5 febbraio 2015 - Passione per l’alta moda e amore infinito per il proprio lavoro. Raffaella Curiel risponde così quando le chiedi di raccontare un successo costante e cristallino che la porta a vestire tante donne eleganti, in tutto il mondo. Passione e amore, da quando aveva 18 anni e muoveva i primi passi nell’atelier della celebre mamma, Gigliola Curiel, prima designer italiana ad avere l’esclusiva della vendita dei suoi abiti couture in America, nel 1948, da Bergdorf Goodman. «Sono orgogliosa della nostra storia, dell’atelier e del magnifico archivio che mia madre ha lasciato», racconta Lella, come tutti la chiamano a Milano, New York, Tokyo, Londra, Parigi, Roma, «e moltissimo dei miei figli, Gaetano Castellini che si occupa di consulenze internazionali e Gigliola che da venti anni mi affianca curando gli accessori alta moda e il nostro pret-à-porter». Con Lella lavorano 50 persone, le clienti sono in tutto il mondo e dopodomani parte per New York per presentare la collezione d’alta moda ispirata all’Oriente che ha a sfilato a Roma.

Signora Curiel quando ha cominciato a lavorare? «Nel 1961, avevo 18 anni ma solo negli anni Ottanta ho preso in mano le redini della maison. Ed eccomi qua», racconta la stilista che conserva occhi e gambe da cerbiatta e una invidiabile carica di simpatia e di entusiamo.

Cosa pensa di tutte le polemiche che ci sono state prima e durante l’ultima tornata di AltaRoma? «Penso che ci vorrebbe più rispetto per le maison storiche come la mia, come quella di Renato Balestra, come per Gattinoni e ormai poche altre che sfilano a Roma. Siamo stati noi con Sarli, Lancetti e Laug a portare per primi il Made in Italy nel mondo, prima che sbocciasse il pret-ò-porter a Milano. Io nel 1982 sfilavo già al Grand Hotel!».

Si parla tanto della missione di scouting di AltaRoma per cercare nuovi talenti dello stile... «Benissimo, sono daccordo anch’io. A patto che siano talenti veri, come in fondo lo siamo stati noi trent’anni fa, e presentino una moda di ricerca e non una brutta copia del passato. Pensare solo ai giovani mi sembra un po’ limitativo. La tradizione non si può mettere da parte e il lavoro di alta sartoria va tutelato».

Il Governo Renzi da mesi porta avanti progetti di sostegno e tutela del Made in Italy. Cosa ne pensa? «Ne penso tutto il bene possibile. Era ora che si pensasse davvero alla moda. E lodo l’impegno del Viceministro allo Sviluppo Economico Carlo Calenda che tanto si sta impegnando, concretamente e coi finanziamenti, per tutelare il sistema moda italiano».

Gli atelier possono essere fucina di talenti? «Certo, da me sono passati tanti giovani che ora si impegnano nella couture. Da me a Milano ho sempre degli stagisti».

Cosa devono imparare i giovani? «Devono imparare tutto sui tessuti, sui modelli, sul taglio. Se non si conosce da vicino come si costruisce un abito non ci si può definire stilista».

Lei lavora con sua figlia Gigliola. Ci racconta il vostro rapporto? «E’ un’esperienza bellissima. Mia figlia si occupa soprattutto di accessori, le sue scarpe sono sempre ammirate e vendutissime. Ha talento ma ha fatto una dura gavetta con me, come io con mia mamma. Un po’ sull’esempio delle botteghe artigiane rinascimentali. Ha molto rispetto per me e per questo non ha mai pensato di presentarsi a qualche concorso per talent della moda».

Quale stilista ha ammirato nel passato? «Su tutti Yves Saint Laurent. Anche Christian Dior, Balenciaga, Courrèges. Emilio Pucci, Gianni Versace, Gianfranco Ferrè».

E oggi chi ammira su tutti? «Giorgio Armani. E’ lui l’imperatore della moda. Perchè il suo è uno stile in continua evoluzione, senza tempo. Ammiro il grande amore per il suo lavoro e la ricerca continua della perfezione».

Le donne più eleganti? «Si incontrano a Londra, sono estrose, conservano ancora quel tocco di personalità in più che avevamo anche noi in Italia negli anni Sessanta. Oggi da noi sono tutte uguali, come quelle della top class a NY. Meglio le giovani fuori da Manhattan, nel fashion district dove spesso mi diverto ad osservarle».