Giovedì 18 Aprile 2024

"Vi racconto il mondo di Kent Haruf"

Intervista a Fabio Cremonesi, traduttore del grande autore americano. Un caso letterario

Fabio Cremonesi

Fabio Cremonesi

Firenze, 18 luglio 2017 - A volte il miracolo succede. Una piccola casa editrice indipendente (Nn Editore) con un grande fiuto, un autore pressoché sconosciuto in Italia che di lì a poco passa a miglior vita, il passaparola travolgente ed ecco che nasce un caso letterario. La “Trilogia della Pianura” di Kent Haruf, morto nel 2014 all’età di 71 anni, ha scosso il mercato letterario: “Canto della Pianura”, “Crepuscolo” e “Benedizione” hanno scalato le classifiche e conquistato un plotone di lettori. Una grande narrativa dove la parola in sé, oltre la storia – pur avvincente – ha un ruolo fondamentale. Ne abbiamo parlato con chi lavora proprio con le parole, il suo traduttore italiano Fabio Cremonesi.

Cremonesi, come spiega un fenomeno del genere? Quello di Haruf è il caso letterario degli ultimi anni.

Di quest’anno senz’altro, non ricordo un autore morto pubblicato da un editore indipendente che sia entrato in classifica al primo posto. Ci sono molti ingredienti, alcuni propri dell’opera e altri esterni. La qualità, che è molto alta; la capacità di Haruf di creare un vincolo affettivo con i lettori, che si affezionano ai personaggi e perfino alla cittadina al centro di queste vicende, Holt, in Colorado, orrenda e così poco attraente. E poi dopo 25 anni di film, serie tv e libri di successo nei quali la realtà è stata guardata con distacco, ironia e cinismo, questo autore ha saputo intercettare un bisogno di realtà, di guardare in faccia le grandi questioni dell’esistenza senza nascondersi dietro l’ironia. Quando muore una persona cara, dell’ironia non te ne fai niente.

E al di là dei meriti di Haruf?

Il passaparola, senza dubbio, ha avuto un ruolo importante, ma quello che è successo è un piccolo miracolo: tutti coloro che hanno avuto un ruolo hanno fatto la loro parte, ha funzionato tutto. Dai lettori ai librai, dai giornalisti all’editore.

E non dimentichiamo il traduttore...

Io sono un artigiano, non un creatore. Forse è vero che c’è stata una consonanza tra la mia sensibilità e il suo modo di scrivere, ma devo essere sincero: avevo la sensazione che i dialoghi si traducessero da soli e questo capita quando sono scritti bene.

Ci sono alcune parole molto evocative in Haruf. Penso a “plainsong”, che dà il titolo a uno dei libri. Come lo ha tradotto?

“Plainsong” è un gioco di parole, può essere tradotto come “canto piano”, un tipo di canto molto antico e di forte ispirazione religiosa, ma anche come “canto della pianura”, che di per sé non vuol dire nulla perché le pianure non cantano, ma qui la pianura ha un ruolo centrale.

E “eventide”?

Significa crepuscolo, ma è un termine ancora più alto; ha una forte connotazione religiosa, oltretutto, perché è il titolo di un inno molto conosciuto dai cristiani americani, e in questo senso avvicina il termine crepuscolo all’idea di fine vita.

Cremonesi, lei è stato manager, promotore di libri, traduttore. Vuole fare lo scrittore?

No, assolutamente, sono una mosca bianca: non sono uno scrittore mancato.

Lei scrisse una mail a Haruf, ma non ricevette risposta perché di lì a poco morì. Cosa gli aveva chiesto?

Gli mandai la canonica mail di fine traduzione, di solito si fa per chiedere chiarimenti su alcuni dubbi, ma in quel caso non ne avevo. E allora gli scrissi che tradurre “Benedizione” mi aveva riconciliato con il mio lavoro, perché ero reduce da un paio di marchette che avevo fatto e che mi avevano lasciato un po’ così... Ero quindi orgoglioso di aver dato un contributo a farlo conoscere al pubblico italiano, ma c’era anche qualcosa di mio, personale.

Adesso è uscito “Le nostre anime di notte”, ancora un successo. Un libro con una genesi straordinaria.

Prima di tutto è un libro molto bello, poi è nato in maniera incredibile: Haruf passa tutta la vita a scrivere poco e impegnando molto tempo a farlo, cinque o sei anni per ciascun libro. Poi gli viene detto che ha pochi mesi di vita e invece di sedersi sulla veranda ad aspettare la morte decide di intraprendere una strada che non ha mai percorso, impara a fare una cosa nuova: ha ancora una storia da raccontare e scrive tutto in pochi mesi, anche un capitolo al giorno. Un’immagine bellissima.