Dylan Dog compie 30 anni: "Ecco perché ha ancora successo"

Il curatore delle testate dell'Indagatore dell'Incubo, Roberto Recchioni, ripercorre la sua carriera dagli inizi con John Doe alla fantascienza di Orfani, soffermandosi sulle novità che porteranno, a fine mese, a celebrare il compleanno del personaggio ideato da Sclavi.

Dylan Dog compie 30 anni: "Ecco perché ha ancora successo"

Dylan Dog compie 30 anni: "Ecco perché ha ancora successo"

Roma, 17 settembre 2016 - ‘Tex è il personaggio che ha tutte le risposte, Dylan Dog, quello che si pone dei dubbi, si fa delle domande. E così destabilizza il lettore’. Bastano poche parole a Roberto Recchioni per definire le due icone principali di casa Bonelli. Poco più di tre anni fa, questa ‘rockstar del fumetto’ amata (e odiata) da schiere di follower su internet, ha preso le redini creative dell’Indagatore dell’Incubo per cercare di svecchiare un personaggio rimasto troppo uguale a se stesso. E adesso si appresta a celebrarne il trentennale (il personaggio è nato nel 1986) ‘con un doppio appuntamento – spiega Recchioni –: il 29 settembre con il numero 361 ‘Mater Dolorosa’, realizzato da me e da Gigi Cavenago (che sarà pubblicata anche in versione deluxe da Bao Publishing) e il 28 ottobre con il 362, scritto dopo nove anni di oblio dal papà di Dyd, Tiziano Sclavi, e disegnato da Giampiero Casertano. Avrà una copertina totalmente bianca che sta facendo impazzire il web’.

Il titolo del Dylan Dog di Scalvi è ‘Dopo un lungo silenzio’. Ma lei, Recchioni, tra le riedizioni in volumi Bao di John Doe (proprio ora è uscito il secondo volume, con i disegni di Riccardo Burchielli, Andrea Accardi, Marco Guerrieri e Walter Venturi), il suo primo lavoro seriale, e quelle di Orfani, la sua ultima fatica, sembra che di cose da dire ne abbia molte...

“Sono 23 anni che lavoro, ne ho 42 e ho alle spalle decine di migliaia di pagine. Se mi guardo indietro, John Doe, ideato con Lorenzo Bartoli, è un momento importante: è nato come un laboratorio dove potevamo sperimentare, molte delle idee successive su Dylan Dog o su Orfani, come la divisione in stagioni simili a quelle televisive, vengono da lì’.

Ha ancora senso la distinzione tra fumetto d’autore e ‘popolare’?

‘Cosa vuol dire fumetto popolare? Non è popolare Zerocalcare che vende centinaia di migliaia di copie coi suoi libri? Mentre in edicola ci sono serie ‘popolari’ che non vanno oltre le diecimila copie. Il punto è che il fumetto seriale ti costringe ad avere un piano che sia fruibile da tutti, nel modo più semplice possibile, e poi, se sei bravo, altri livelli, stratificati uno sull'altro. Il Dylan Dog di Sclavi, ma anche i lavori di Berardi, Pratt, Castelli offrono messaggi a più livelli, sono dei modelli’.

Sul suo blog parla anche di compromessi da fare per il fumetto seriale. Lei ne ha fatti su Dylan Dog?

‘In realtà su Dylan ne ho fatti pochi, ho una lettera di Tiziano Scalvi che mi dà carta bianca. È la narrativa seriale che ha regole precise che bisogna rispettare’.

Come è cambiato Dylan Dog sotto la tua gestione?

‘Abbiamo provato a rimetterlo in una condizione dinamica, con proposte narrative e grafiche. Certo, facendo quattromila pagine all’anno, non tutte sono dello stesso livello: da questo punto di vista ho accettato la possibilità del fallimento, diciamo’.

E le storie fantascientifiche di Orfani come si inseriscono nel suo percorso?

‘Beh, per la Bonelli è stato qualcosa che non si era mai visto: pagine interamente a colori, la mancanza di un eroe fisso, i ruoli del bene e del male costantemente ribaltati. Inoltre, è multimediale: abbiamo fatto la serie animata per la Rai, i volumi rilegati per la Bao e i romanzi che usciranno per Multiplayer (il primo dei quali sarà presentato nella prossima Lucca, ndr)’.

Come giudica questa stagione del fumetto italiano?

‘Molto buona. Leo Ortolani, Gipi, Zerocalcare sono grandi e rappresentano una proposta mai come oggi così diversificata. Sono i nomi che andranno a sostituire i Manara, i Pazienza…’.

Il processo creativo richiede grandi sforzi: documentazione, verifiche, riscritture. Pensa che gli autori più giovani siano adeguatamente preparati?

‘Se non sei ossessionato, questo mestiere non lo farai mai. In Italia ci sono circa 600 persone che vivono di questo lavoro, una ristretta élite. Devi passarci la vita sulle pagine, se no non sfondi. Del resto, la storia del rock è piena di grandi musicisti che passavano 18 ore al giorno, in stanza, a suonare. Si chiama mestiere, ma c’è bisogno di una conoscenza profonda’.

Lei sa che la definiscono ‘la rockstar del fumetto’. E che divide i fan come pochi altri. Si riconosce in questo personaggio?

‘Oltre che scrivere per il cinema, fare recensioni e realizzare romanzi, ho anche 40mila follower online. È chiaro che tra questi ci sono persone a cui piacciono le mie cose e altrettanti haters (gente che odia, nel gergo di internet, ndr). Tutto alimenta un po’ un personaggio e va benissimo così: quell’etichetta ormai non me la sono più staccata’.