Vaticano, monsignor Capella condannato a 5 anni per pedopornografia

Foto intime e commenti imbarazzanti in chat. Tribunale chiedeva punizione esemplare. Il consigliere della nunziatura apostolica: "Gli errori che ho fatto sono evidenti, desidero riabilitarmi"

Monsignor Capella, a sinistra, nell'aula del Tribunale del Vaticano (Ansa)

Monsignor Capella, a sinistra, nell'aula del Tribunale del Vaticano (Ansa)

Città del Vaticano, 23 giugno 2018 - Monsignor Carlo Alberto Capella è stato condannato dal Tribunale della Città del Vaticano a cinque anni di reclusione e cinquemila euro di multa per per detenzione, cessione e trasmissione di materiale pedopornografico. Il consigliere della nunziatura apostolica, reo confesso, era stato arrestato il 7 aprile scorso. I promotori di giustizia vaticani per l’ex funzionario della Santa Sede invocavano una punizione esemplare, una pena di nove mesi più alta, e 10mila euro di multa.

“Gli errori che ho fatto sono evidenti, evidente è anche il fatto che si riferiscono a un periodo di fragilità. Sono dispiaciuto che la mia debolezza abbia inciso sulla vita della Chiesa, della Santa Sede e della diocesi e sono addolorato per la mia famiglia”. Così l’imputato nel corso dell’udienza, durata tre ore. “Spero che questa situazione - ha aggiunto - possa essere considerata un incidente di percorso nella mia vita sacerdotale, che amo ancora di più”. “Voglio continuare il sostegno psicologico”, ha proseguito Capella. “Spero che questo processo possa essere di qualche utilità nel corretto inquadramento dei fatti”, ha aggiunto prima della riunione della Camera di Consiglio, in una dichiarazione spontanea dopo che i pm gli avevano contestato il reato relativo alla manipolazione di materiale pedopornografico.

Il promotore di giustizia aveva cominciato la requisitoria sgombrando il campo da ogni dubbio circa la titolarità della giurisdizione vaticana. Per la Santa Sede, infatti, qualsiasi reato commesso da un pubblico ufficiale vaticano, in qualsiasi territorio, è un reato competente per lo Stato della Città del Vaticano. Riguardo al materiale sequestrato, la legislazione vaticana - ha detto il rappresentante dell’accusa - è molto più restrittiva rispetto a quella italiana, in quanto non distingue tra immagini reali e virtuali. Le immagine scaricate dal cellulare di Capella erano state archiviate in una memoria remota e consultate ripetutamente, l’ultima volta nell’ottobre del 2017. Segno, secondo l’accusa, di “un comportamento reiterato nel tempo che non era mai venuto meno”, come documentato anche attraverso l’attività in chat su Tumblr. Le immagini, inoltre, quando venivano condivise erano accompagnate da “apprezzamenti”. Nelle chat, infine, “si prospettavano anche incontri reali”.

“Non era una captazione accidentale e fortuita di materiale, ma indice di una attività illecita di ingente quantità”, il rilievo dell’accusa, che ha ricordato come la legge vaticana del 2010, voluta da Papa Ratzinger, inserisce lo scambio di materiale pedopornografico nei “delicta graviora”, quelli cioè che riguardano le offese alla fede e alla morale. Quest’ultima considerazione era stata però contestata dall’avvocato difensore di Capella, Roberto Borgogno, in quanto, secondo il legale, l’ingente quantità non viene definita precisamente dalla legislazione vaticana.

Per la legge italiana, ha rimarcato il legale, si parla di ingente quantità a partire da 100 immagini (quelle riscontrate nei dispositivi di Capella si fermano tra 40 e 55 file). L’avvocato si è soffermato sul profilo psicologico del suo assistito: “Questi comportamenti - ha detto - sono indice di un disagio: ci sono terapie e percorsi riabilitativi che le autorità ecclesiastiche ben conoscono. C’è la possibilità di un cammino terapeutico”. Nella memoria del consulente psichiatrico depositata agli atti, inoltre, emerge “lo studio di una personalità che non dimostra affatto tendenze di pedofilia o parafilia”. Per questo la richiesta dell’avvocato è stata che “la pena fosse contenuta nei minimi applicabili”.