Così mia madre fu truffata a morte. "Reagì, ma la vergogna l’uccise"

La nostra giornalista: "Mamma Mirella, raggirata e depredata da un finto broker" Truffe agli anziani, inviaci le tue segnalazioni via mail a [email protected]

Mirella Satta con la figlia e nostra giornalista Letizia Cini

Mirella Satta con la figlia e nostra giornalista Letizia Cini

Firenze, 21 ottobre 2016 - NON ha potuto avere la soddisfazione che aveva cercato affrontando il drago da sola, mia madre. La sentenza è arrivata troppo tardi, 7 anni dopo aver capito (e denunciato) di essere stata truffata. Ma è arrivata. Già, perché noi - i suoi figli - abbiamo deciso di non far finta che nulla fosse successo. Lei è morta, colpita al cuore dalla malattia, fiaccata dalla vergogna. Sì, perché Mirella Satta, ‘coniugata Cini’, come si diceva ai suoi tempi, è l’ennesima vittima di una truffa. Il 29 luglio del 2009 un professionista in giacca e cravatta distinto e convincente, si è presentato alla porta di casa sua, a Firenze, come consulente finanziario, fornendole un biglietto da visita ‘nel quale era indicata tale qualifica’, come recita la decisione del giudice del Tribunale penale di Pistoia datata 13 luglio 2016, che ha condannato M.C. a un anno e 8 mesi di reclusione e 800 euro di multa, per i seguenti motivi: ‘Con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, con artifizi e raggiri consistiti nel presentarsi a Mirella Satta come operatore finanziario, proponendole investimenti di denaro previo apertura di un conto corrente presso la banca online XX, vantando esperienza nel settore e prospettandole falsamente buoni e sicuri guadagni giornalieri, l’ha indotta in errore’.   EFFETTUANDO prelievi e bonifici dal conto corrente che le aveva fatto aprire - e nel quale lei aveva versato in varie tranche molte decine di migliaia euro, la ‘pensione‘ della vedova di un libero professionista - ‘in favore di conti correnti rifèribili a lui e a sua moglie A. D. N., procurandosi l’ingiusto vantaggio di 52.785,45 euro’. Furbo, talmente subdolo da farsi rilasciare una carta di credito a nome di Mirella Satta (mia madre ne era del tutto all’oscuro), ritrovata durante una perquisizione dagli agenti di polizia giudiziaria insieme con la copia di un suo documento di identità e ai codici per l’accesso ai servizi on line della banca. Tutte cose che lei si è sentita dire per telefono dall’operatrice della banca, cadendo dalle nuvole, dritta nel baratro; niente di tutto quello che il falso promotore finanziario le aveva raccontato era vero: non solo non esistevano gli interessi, ma il falso promotore girava sui propri conti personali il denaro ricevuto e mandava la moglie a fare acquisti con la carta di credito di mia mamma e i suoi risparmi, garanzia di quell’indipendenza alla quale tanto teneva.

Un’onta che, fino all’ultimo ha taciuto a tutti, perfino a noi, i suoi figli; un colpo duro da digerire, che l’ha condotta nello stesso periodo negli studi dell’avvocato e del cardiologo. Una coincidenza? Si vergognava, non è facile ammettere a se stessi e agli altri di essere caduti nel tranello di un farabutto: «Ma come, una donna come te? Ma come hai fatto, hai anche studiato ragioneria?». Già, perché Mirella Satta tutto era tranne che una vecchietta dalle vene intasate dedita a tombolo e rosario: mia madre (mia e dei miei fratelli Cino, medico, e Luca, ingegnere) era una donna in gamba, per decenni pilastro dello studio dentistico nel quale hanno lavorato mio padre Raffaello prima, e mio fratello oggi. Una signora sveglia, che amava a tal punto la vita da considerare misantropa una figlia troppo dedita a lavoro e figli.   SE IL LUPO troppo spesso è travestito da principe azzurro, è bene che la gente sappia: con l’approvazione dei miei fratelli ho accettato di raccontare questa storia, che io ho scoperto solo nel settembre del 2011, dopo la morte di nostra madre: quando (con sorpresa), ho scoperto che dei 10mila euro versati su un conto cointestato per le spese del funerale (pensava proprio a tutto, la mamma Mirella!), non c’era rimasto nulla. Tutto finito in quel conto truffaldino. Povera mamma, quanto deve esserle pesato quel segreto (fra noi non ce n’erano da tanti anni) capace di metterla alla mercè degli sberleffi di coloro che la conoscevano, la stimavano. Abbiamo fatto quello che lei avrebbe voluto, e siamo andati avanti, rintracciando l’avvocato fiorentino al quale si era rivolta e decidendo di avventurarci in una lunga (quanti rinvii, frustrazioni e viaggi inutili), dispendiosa e dolorosa azione legale che, dopo 7 anni, le rende giustizia. Non un euro, intendiamoci: il personaggio in questione naturalmente risulta nullatenente. Ma i soldi erano l’ultimo interesse di noi ‘eredi’, spinti solo dalla voglia di verità. La gente deve sapere: i ‘non più giovani’ devono imparare a difendersi. E qualcuno deve dar loro voce: lo ha fatto il mio giornale e ne sono orgogliosa.  [email protected]