Martedì 23 Aprile 2024

Il generale Mori: la mafia di Riina non c’è più. "Sconfitta dalla globalizzazione"

Mori: il mondo è cambiato e Riina dal carcere non dava più ordini Spunta manifesto funebre a Ercolano Totò Riina, la storia. Dall'ascesa corleonese alle stragi

Totò Riina e il generale Mario Mori (combo)

Totò Riina e il generale Mario Mori (combo)

Roma, 18 novembre 2017 «Totò Riina muore da perdente». Così Mario Mori, generale e prefetto, ex direttore del Sisde ed ex capo di quel Ros Carabinieri che arrestò Riina. Prosciolto perché il fatto non costituisce reato dalle accuse per la mancata perquisizione della casa di Riina dopo l’arresto, assolto dalle accuse di favoreggiamento a Provenzano, e invece ancora sotto processo per la trattativa tra Stato e Mafia. 

Generale Mori, Totò la belva è morto. Che sarà adesso di Cosa Nostra?

«Che fatalmente, suo malgrado, cambierà. Ci potrà forse essere qualcuno che tenterà di riproporla come era, ma è un tentativo destinato ad arenarsi. La mafia esisterà ancora, non voglio essere frainteso, ma sarà una forma di criminalità organizzata diciamo così “normale”, sostanzialmente simile alle organizzazioni criminali di mezzo mondo. Sarà ancora una grande e diffusa organizzazione, frammentata in cosche che avranno un radicamento territoriale ma che molto probabilmente non saranno più coordinate da una vera commissione provinciale, una cupola. Avrà magari ancora una presenza sovranazionale, legami. Ma non sarà più quella di un volta. Sarà più debole e sarà più attaccabile».

Questo a causa del lavoro degli investigatori e dei magistrati?

«Solo in parte. Dopo la stagione delle stragi la risposta dello Stato è stata decisa come doveva essere. Riina e praticamente tutti i capi di Cosa Nostra sono stati sepolti sotto una montagna di ergastoli, la loro struttura è stata colpita e disarticolata. Cosa Nostra cerca di resistere, di sostituire i boss arrestati, mostra una notevole capacitò di resistenza. Ma fatica. E però non è tanto questo, la efficace risposta giudiziaria, a farmi dire che la mafia dei Riina, quella che oggi possiamo definire la vecchia mafia corleonese, è morta»

Cosa è, allora? 

«Il punto essenziale è che quella Cosa Nostra è stata sconfitta dall’evoluzione della società siciliana, dalla crescita della società italiana. È stata sconfitta dal cambio culturale, dalla globalizzazione, dalla tv da internet, dai giornali, dalle radio. È stata sconfitta dalla modernità. La sua subcultura era frutto di una società molto diversa, arcaica, contadina, che fortunatamente in quei termini non esiste più. Si è passati dall’omertà a Facebook, dai pizzini a Twitter. È cresciuto la partecipazione. La Sicilia, purtroppo per lui, è fortunatamente cambiata. Riina lascia una terribile scia di morte, ma è un relitto di una era che non tornerà». 

Cosa ha contraddistinto la figura di Riina? Cosa rende unica la sua parabola criminale?

«Era un capo senza remore e senza limiti. Un capo assoluto. Che scelse la violenza come cifra, contro tutto e tutti. Che non aveva freni. Che era così folle che volle osare l’inosabile: attaccare lo Stato. Era chiaramente una scelta dissennata, perché alla lunga lo Stato avrebbe incassato dei colpi anche durissimi ma poi gliel’avrebbe fatta pagare e con gli interessi. Ma lui in un delirio di onnipotenza scelse lo stesso lo stragismo, e questo ha fatalmente causato una reazione contraria molto più forte di quello che lui pensava e che ha condannato lui e la sua Cosa Nostra. Proprio l’andare a testa bassa contro lo Stato ha creato i prodromi della sua fine. È stato un peccato di superbia che ha pagato personalmente e duramente».

Perché se la mossa era disperata Cosa Nostra gli è andata dietro?

«Perché non ha potuto fare altrimenti. Alcuni, Cangemi, Ganci, lo stesso Provenzano, erano consapevoli che quella contro lo Stato era una battaglia impari, persa in partenza, ma non hanno saputo fermarlo. Perché non avevano la forza per fermarlo». 

Comandava ancora lui, ancora adesso, come voleva far credere? 

«No, a mio avviso non poteva comandare davvero. Faceva il pater familias, o il presidiente onorario, se preferisce. Ma non poteva più essere operativo. Il comando vero era di chi si trovava sul campo, gente come Matteo Messina Denaro, gente più al passo con i tempi, capace anche di fare il latitante all’estero, se necessario: cosa impensabile per lui che sul territorio era nato e solo del suo territorio si fidava. Quantomeno negli ultimi anni era ormai un simbolo che convenientemente recitava il suo ruolo». 

Riina si porta nella tomba i suoi misteri?

«Assolutamente no, non c’è prova che ne avesse. In tanti ne hanno parlato. Nessuno ha dimostrato che ne potesse avere qualcuno. Se ne avesse avuti, magari li avrebbe usati per vendicarsi: non aveva più nulla da perdere e di certo non aveva nessuno scrupolo».

La morte di Riina cambia qualcosa nel processo sulla trattativa?

«No, nulla».

Il capo dei capi disse che lui non aveva mai cercato nessuno, ma che lo avevano cercato. Alludeva alla trattativa.

«È stata una sua affermazione, ma poi bisogna dimostrare se è vera. A sostenere questo, a sostenere una trattativa o un tentativo di trattativa, c’è una qualche sentenza o anche solo qualche atto? Non mi pare proprio. Sono vanterie, ne ho sentite tante nelle intercettazioni. E forse possiamo anche supporre che Riina lo diceva a mezza voce, lo lasciava intendere, per screditare lo Stato».   

Manifesti funebri che danno 'il lieto annuncio' per la morte del boss. 

Totò Riina, la storia. Dall'ascesa corleonese alle stragi

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Totò Riina morto, "Cosa nostra cerca nuovo leader"

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