Totò Riina, il tribunale di sorveglianza: "No alla scarcerazione"

L'avvocato del boss: "Faremo ricorso"

Riina in videoconferenza a udienza '904'

Riina in videoconferenza a udienza '904'

Bologna, 19 luglio 2017 - E alla fine, nel giorno dei 25 anni dalla strage di via D'Amelio e del blitz del Ros che ha sequestrato il tesoro di Totò Riina, ecco anche il verdetto del tribunale di sorveglianza chiamato a decidere sulla scarcerazione del boss dei boss.

Ebbene, i giudici di sorveglianza di Bologna hanno rigettato la richiesta di differimento pena o, in subordine, di detenzione domiciliare presentata dai legali di Totò Riina. I magistrati hanno riunito due procedimenti, decidendoli insieme. Riina quindi resta detenuto al 41bis nel reparto riservato ai carcerati dell'ospedale di Parma.

Alla richiesta dei legali, motivata da ragioni di salute del boss, si è opposto il pg di Bologna Ignazio De Francisci. "Totò Riina rimane in ospedale ma è una ordinanza ampiamente ricorribile, e come tale sarà oggetto di ricorso", ha dichiarato il legale di Toto Riina, avvocato Luca Cianfaroni. 

"NON MI PENTO" - Nell'ordinanza con cui la Sorveglianza ha rigettato l'istanza del boss di Cosa Nostra compare anche un'intercettazione di Riina: "Io non mi pento...a me non mi piegheranno. Io non voglio chiedere niente a nessuno ... mi posso fare anche 3000 anni no 30 anni". Il boss di Cosa Nostra si rivolgeva così alla moglie Antonietta Bagarella in un colloquio video-registrato avvenuto lo scorso 27 febbraio. Le parole del dialogo emergono "nel contesto di uno scambio di frasi su istanze da proporre", scrivono i giudici.

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LE CONDIZIONI DEL BOSS - A Totò Riina, "soggetto affetto da plurime patologie, alcune delle quali tipicamente connesse all'età avanzata", vengono "non solo somministrate cure e terapie di altissimo livello con estrema tempestività di intervento, ma anche, e soprattutto, prestata assistenza di tipo geriatrico con cadenza quotidiana ed estrema attenzione e rispetto della sua volontà, al pari di qualsiasi altra persona che versi in analoghe condizioni fisiche", scrive il tribunale di Sorveglianza di Bologna, affrontando il tema delle condizioni del boss e il diritto a morire dignitosamente, citato dalla Cassazione, che deve intendersi come "il diritto a morire in condizioni di rispettabilità e decoro": la complessiva situazione di Riina non solo non viola tale diritto, ma, per i giudici, non costituisce neppure "una prova di intensità superiore all'inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione", come indicato da una sentenza Cedu.

Per i giudici è degno di nota il fatto che Riina asserisca che "non si piegherà e non si pentirà mai". E "altrettanto significativo" è un passaggio durante il quale i coniugi "giungono ad affermare che i collaboratori di giustizia vengono pagati per dire il falso". Di seguito è riportata la trascrizione del dialogo. Riina: 'sono stato io... non è che siamo! Facciamo finta che eravamo insieme... non e che non lo sanno!... Lo sanno che eravamo sempre qua con questo direttore! Io non ho fatto niente e non so niente e quello... Brusca...' Bagarella: 'ma tu lo sai che quelli prendono soldi quando dicono queste cose?' Riina: 'certo' Bagarella: "e allora... più se ne inventano e più sono pagatì Riina: 'hanno... esatto...' Bagarella: 'Non è che è gratis quando lui dice queste cose che non esistono e perciò! Eh perciò ci vivono tutti! È così'".