Venerdì 19 Aprile 2024

Terremoto, Suor Marjana un anno dopo. "Le macerie, uno scandalo"

Amatrice, la foto simbolo. "Impossibile sconfiggere la paura"

Suor Marjana oggi (sin.) e lo scatto simbolo che la ritrae dopo il terremoto (destra)

Suor Marjana oggi (sin.) e lo scatto simbolo che la ritrae dopo il terremoto (destra)

Roma, 24 agosto 2017 - Suor Marjana Lleshi, albanese, 36 anni. Per il mondo, l’immagine simbolo di Amatrice.

«Quella foto, che assillo! Non mi ero accorta che stavano scattando». Al telefono la voce ha un piglio deciso. Suor Marjana è arrivata in Italia a 18 anni per lavoro, «facevo le pulizie». Poi la vocazione.

Adagiata per terra, sull’asfalto.

«L’unico posto sicuro, ancora tremava tutto».

Il velo e il volto insanguinati.

«Ero rimasta ferita dai calcinacci, ero così da ore. Ma non ci badavo, è un modo per controllare la paura. Avevo pensato di morire».

Terremoto, cavilli e ritardi. Un anno dopo resta solo rabbia - di RITA BARTOLOMEI

Il telefonino in mano, l’espressione concentrata di chi scrive qualcosa che non può aspettare.

«Stavo comunicando: sono viva! Quando ero intrappolata dalle macerie avevo già dato addio a tutti».

Così è diventata il volto di una tragedia nazionale.

«Senza saperlo. Badavo a rispondere, mi chiedevano continuamente informazioni. Aspettavo che venissero salvate le altre suore. Quella foto l’ho vista solo dopo una settimana».

Ferita, scampata, miracolata. Salvata da un angelo.

«Un ragazzo colombiano, faceva il badante per un’anziana in villeggiatura nel nostro istituto. Per un’ora ho gridato, non rispondeva nessuno. Avevo perso la speranza».

Quattro ospiti morte, non hanno avuto scampo nemmeno tre consorelle.

«Suor Cecilia, suor Agata, suor Anna. Fa male pensare che non ci sono più. La sera prima eravamo tutte insieme. Una prova durissima».

Altre due si sono salvate.

«Suor Giuseppina e suor Maria, sono ad Amatrice dal 24 dicembre in una casa prefabbricata, a sostenere le esperienze di tutti».

Lei oggi dove vive?

«Preferisco non dare recapiti, troppo assillo. Studio per diventare maestra d’infanzia. Andrò dove c’è bisogno».

Ha rivisto il suo salvatore?

«No, solo quel giorno».

Com’è cambiata la sua vita?

«Incontrare la morte faccia a faccia, pensare che è finita e dopo invece ne esci viva... Una cosa così ti segna per sempre».

Lei salva, le altre no. Da persona di fede si è chiesta perché?

«Mi sono fatta questa domanda, ma un ragionamento così diventa troppo umano. Non è che io ho vinto il premio e loro l’hanno perso. È un mistero. Ringrazio Dio di essere viva, ringrazio Dio per le suore che ho conosciuto».

Ha visto la morte in faccia.

«Sì, ci penso, mi torna in mente. Anche perché sono arrivate le altre scosse, ho dormito ad Amatrice poi mi sono trasferita nel nostro convento di Ascoli».

Un anno dopo.

«È stata molto dura. Tornare per le celebrazioni, dormire lì, rivivere tutto... Non è proprio una passeggiata. A un certo punto devi farti coraggio, non puoi essere succube».

I numeri dicono che abbiamo perso tempo.

«Purtroppo ci sono le macerie, basta andare lì, le chiacchiere servono a poco. Ci sono macerie anche di fronte alle casette. Questo non è umano. Vero che ci vuole tempo, ma senza rimuoverle... E poi non tutti hanno le abitazioni. Come fai?».

Il suo legame con i terremotati, oggi.

«Le persone quando le incontri piangono, le piaghe sono aperte. È doloroso, ti senti inerme, incapace di poter fare qualcosa perché non dipende da te. Provi rabbia».

Un giorno tornerà ad Amatrice?

«Se mi verrà chiesto... Quando è arrivato il terremoto ero lì da un mese, davo una mano alle sorelle».

La vostra casa sarà ricostruita?

«Questo non lo so, ora le suore vivono in un prefabbricato».

Un pezzo d’Italia bellissimo, chiese e conventi distrutti, è la via dei santi. Rinasceranno?

«Ci vorrà tempo. Ma se ricostruisci le chiese e non hai le case per le persone, che senso ha?».