Giovedì 25 Aprile 2024

"Sfondo il muro e li salvo tutti". Poi l’infarto ferma l’eroe per caso

Pescara del Tronto, in 12 devono la vita a Roberto. Ora è in ospedale: fuori pericolo. "Ma avrei voluto fare di più"

Soccorsi a Pescara del Tronto (Ansa)

Soccorsi a Pescara del Tronto (Ansa)

Ascoli Piceno, 27 agosto 2016 - Roberto Rendina è sopravvissuto due volte. La prima quando la terra ha tremato e lui era nella sua casa a Pescara del Tronto, la seconda quando, dopo aver salvato diverse vite, ha avuto un principio di infarto ed è stato ricoverato all’ospedale Mazzoni di Ascoli. Lì, in un lettino nel reparto di Cardiologia, il 56enne di Roma che nel piccolo borgo di Arquata tornava praticamente tutti i weekend, rivive quei momenti drammatici. «La prima scossa è stata tremenda, a casa crollava tutto. Vedevo le mura sbriciolarsi, il pavimento sotto di me si alzava. Mi sono precipitato al piano di sopra, correndo all’impazzata mentre le scale traballavano. Ho preso in braccio mio padre, malato di Alzheimer, e l’ho portato fuori casa. Poi ho trascinato all’esterno anche mia madre e una ragazza che è da noi per assistere papà».

Un inferno... «Sì. Sentivo le urla dei miei vicini, quindi ho preso una motosega per aprire la loro porta. Ho sfondato le mura e sono riuscito a portare via dalle rovine due persone. Li ho portati dove erano i miei. Non pensavo di avere così tanta forza, è stata la disperazione».

Si è comportato da eroe... «No, ho fatto solo quello che potevo. Non riuscivo a trovare mia figlia di 16 anni. Il paese era distrutto e sono andato a vedere dove una volta c’era la sua cameretta. Ma si era spostato tutto. Non c’era più niente. Per fortuna aveva fatto tardi con le amiche e stava bene, è stata soccorsa da altre persone. Arianna, una sua amica di 15 anni, era cento metri più avanti di lei. Morta».

Sua moglie? I suoi parenti? Ci sono sei Rendina tra i morti. «Mia moglie per fortuna era rimasta a Roma. L’altra mia figlia era tornata da lei la mattina prima del terremoto. Non riusciva a iscriversi all’Università con il computer e ha preferito farlo da casa, grazie a Dio. I Rendina deceduti non sono miei parenti di primo grado. È una famiglia molto grande, li conoscevo tutti. Tante persone che conoscevo non ci sono più».

Quante persone ha salvato? «Dieci, dodici, non lo so. Subito dopo i primi soccorsi sono andato con altre persone tra le macerie. Abbiamo aiutato altra gente. Si sentivano lamenti, grida disperate in cerca di aiuto, ma dopo la seconda scossa c’era solo silenzio».

Poi si è sentito male... «Non so cosa sia successo. C’eravamo appena fermati. Una ragazza si è avvicinata e mi ha chiesto ‘Cosa hai?’. Io le ho detto che mi sentivo debole ma che non era niente. Lei ha insistito e mi ha fatto sedere. Poi ho sentito una stretta al petto e mi hanno portato qui in ospedale. Mi fa male ricordare quei momenti: mi fa male perché penso che potevo salvare altre persone».

Poi Roberto si mette le mani sul viso per corprire le lacrime. Il suo corpo è provato, mi mostra i muscoli delle gambe intorpiditi.  Distoglie lo sguardo e ripete: «Perdonami, non ce la faccio più a ricordare. Perdonami, non voglio più ricordare».