Addio Sofia, simbolo di Stamina. La madre: la tua vita non sarà vana

La lettera della donna: "Un inferno". Dai cortei alle sentenze contro la cura

Caterina Ceccuti, mamma della piccola Sofia (Pressphoto)

Caterina Ceccuti, mamma della piccola Sofia (Pressphoto)

Firenze, 2 gennaio 2018 - La nostra è una piccola storia d’amore, come ce ne sono migliaia, che nasce nel 2000 da un incontro casuale. Uno sguardo, una scintilla che presto si trasforma nella promessa «Ci sarò sempre». Io e mio marito Guido, due anime diverse che si scelgono, e intrecciandosi si compensano. Giovane architetto lui, giovane giornalista io. Un appartamento minuscolo nel centro storico di Firenze, l’entusiasmo incontenibile c’invita a costruire una vita semplice e completa. Sofia nasce nel 2009: desiderata e attesa, fisicamente perfetta. La famiglia cresce e il binomio del nostro amore si trasforma in un triangolo eccezionale. Fino al 26 luglio del 2011, quando dopo un tormentato percorso diagnostico di cinque mesi, apprendiamo dall’equipe del reparto di neurologia dell’ospedale pediatrico Meyer che nostra figlia è affetta da Leucodistrofia Metacromatica, malattia neuro degenerativa rara. Terminale. Si nasce sani, si cresce sani fino a 18 mesi, poi i sintomi si manifestano, inizia una zoppia lieve e nel giro di 6 mesi Sofia smette di camminare, parlare, mangiare. A dicembre diventa cieca, completamente paralizzata, incapace di comunicare a eccezione del pianto.   Da quel caldo pomeriggio di luglio, la nostra piccola vita si trasforma in un inferno a cui non siamo preparati, su cui nessuno sa istruirci. Un inferno che trasformerà per sempre il nostro modo di vivere, pensare, amare. Non siamo più una mamma e un papà, siamo due caregiver innamorati del nostro bimbo invalido al 100 per 100. Dove neuro degenerativo pediatrico significa processo di deterioramento cognitivo e motorio quotidiano. Ogni giorno Sofia perde un pezzo di se stessa che non recupererà mai più. Un movimento, una parola, una capacità anche minima eppur vitale come la deglutizione e la respirazione. Ogni giorno una lotta, contro il tempo e la malattia, alla ricerca di strumenti anche solo palliativi per contrastare l’avanzare della bestia. Dalla nostra routine di dolore e solitudine decidiamo di far nascere qualcosa di prezioso, che trasformi l’esperienza drammatica in un’occasione di riscatto e cambiamento per molti. In nome di Sofia nel 2013 fondiamo l’Associazione Voa Voa! Onlus Amici di Sofia (www.voavoa.org), dedicata all’assistenza alle famiglie con minori affetti da patologie rare neuro metaboliche a esito infausto. Voa Voa sta per vola vola, lo diceva Sofia osservando gli aerei volare. Io e Guido promettiamo che la sua vita non sarebbe stata vana, seppure breve, seppur silenziosa, ed è questa forse l’unica promessa a nostra figlia che in questi anni siamo riusciti a mantenere, perché quella di salvarla dalla malattia non è stata possibile.   Dopo 7 anni di trincea, giorno e notte, io e Guido sempre insieme e sempre soli, troppo soli, a combattere per lei. Sabato 30 dicembre, per colpa di un arresto respiratorio, la nostra bimba decide di volarsene in un posto migliore. Io e Guido la teniamo tra le braccia, una piccola dose di morfina le impedisce di soffrire, le prometto «Dove stai andando adesso non esiste più dolore, c’è solo l’amore». Il dolore è di chi resta, lascialo a noi che non abbiamo potuto togliertelo in vita ma che adesso ereditiamo tutto insieme. Arrivederci terza punta del triangolo equilatero che compone il nostro amore. Ora che restiamo senza ci sentiamo scombinati. Ma in tuo onore e nel tuo nome io e papà promettiamo che il tuo grido «Voa Voa!» sarà voce per tanti bambini rari come lo sei stata tu, e insieme andremo sempre più lontano.