Martedì 23 Aprile 2024

San Camillo, lettera-denuncia: "Mio padre morto di cancro dopo 56 ore al pronto soccorso"

Un giornalista scrive alla Lorenzin raccontando il calvario. Lei invia gli ispettori nell'ospedale romano

Roma, l'ospedale San Camillo (Dire)

Roma, l'ospedale San Camillo (Dire)

Roma, 5 ottobre 2016 - Morto di tumore al pronto soccorso dopo un ricovero di 56 ore, "fra tossicodipendenti, senza rispetto né dignità". La denuncia arriva da un giornalista coinvolto in prima persona nella vicenda: il paziente deceduto è infatti suo padre. Patrizio Cairoli, dell'agenzia Askanews, ha raccontato il calvario della malattia in una lettera indirizzata al ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Calvario che si è concluso non in una struttura opportuna, o in casa, ma nella confusione di un pronto soccorso, quello dell'ospedale romano San Camillo

"Sono passati tre mesi dal giorno in cui mio padre ha scoperto di avere un cancro a quello della sua morte - scrive Cairoli - metà del tempo lo ha trascorso ad aspettare l'inizio della radioterapia, l'altro ad attendere miglioramenti. Nonostante il male, ci avevano prospettato anni di vita da trascorrere in modo dignitoso". Così non è stato. "Mio padre aveva sempre più dolori - racconta - ... nella totale indifferenza di medici... Nessuno ci ha detto di rivolgerci a una struttura per malati terminali e garantire, con la terapia del dolore, una morte dignitosa a mio padre. Quando l'ho fatto era ormai troppo tardi". Al papà era già stata somministrata la morfina: morirà due giorni e mezzo dopo.

"Cinquantasei ore in pronto soccorso, da malato terminale... Accanto anziani abbandonati, persone con problemi irrilevanti che parlavano e ridevano, vagabondi e tossicodipendenti - scrive ancora Cairoli - Nell'orario delle visite la sala era sovraffollata... Abbiamo protestato... non abbiamo ottenuto nulla". Appena un paravento per tutelare l'intimità di chi sta morendo e "un maglioncino con lo scotch tenuto sospeso tra il paravento e il muro" e i corpi dei familiari "a formare una barriera".

La toccante lettera smuove le istituzioni: Beatrice Lorenzin, direttamente chiamata in causa, si dice "molto colpita" dalla vicenda e decide di inviare al San Camillo gli ispettori ministeriali. Si attiva anche il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti chiedendo al direttore generale dell'ospedale una relazione dettagliata sulla vicenda: "Non possono essere tollerate all'interno di una struttura della sanità pubblica, qualora fossero accertate, situazioni così lesive della dignità umana e del malato", dice il governatore.  

Eppure il caso del San Camillo non è isolato. Ci sono volute le parole di un giornalista e una lettera al ministro per agitare le acque e aprire una finestra su tante realtà finite nell'ombra. "È successo a Roma, capitale d'Italia", conclude Cairoli. E non solo qui, putroppo.