Referendum Lombardia e Veneto, questione di soldi che può far saltare il Paese

Il modello è quello delle regioni a statuto speciale. Troppo costoso per il resto d'Italia

Referendum autonomie: Zaia, Salvini e Maroni - Ansa

Referendum autonomie: Zaia, Salvini e Maroni - Ansa

Roma, 22 ottobre 2017  - Soldi, alla fine è una questione di soldi. Come quasi sempre accade nella vita, così è oggi nel lombardo-veneto, quando dietro alla bella parola ‘autonomia’ si nasconde la richiesta di ottenere da Roma più funzioni e quindi più fondi. Un po’ come accade nelle regioni a statuto speciale, che trattengono in certi casi anche i nove decimi di Irpef e Iva e che con quei soldi ‘in più’ si pagano servizi importanti (forestali, vigili del fuoco, certi livelli di istruzione, alcuni comparti della viabilità etc), nelle regioni ordinarie invece a carico dello Stato. Tant’è che mentre il totale delle spese delle ‘ordinarie’ è di circa 150 miliardi all’anno, ‘solo’ le speciali spendono circa 45 miliardi. In proporzione molto di più.

Il possibile sviluppo della consultazione di oggi l’ha descritto bene Silvio Berlusconi, che commentando i referendum consultivi ha detto: «Vogliamo che Lombardia e Veneto diventino come una regione a statuto speciale», riferendosi alle cinque già esistenti. Il punto è proprio questo: può l’Italia permettersi altre regioni di fatto autonome? La risposta più facile è ‘no’, quella più vera, ragionando per assurdo, è: ‘dipende’. Dipende quale regione. Se la richiesta arrivasse dalla Campania (-4 miliardi di residuo fiscale) o dalla Calabria (-4,5), che ricevono in termini di spesa pubblica più di quanto versano, allora certamente, l’autonomia sarebbe un affare per il resto del Paese. Ma se la stessa richiesta giunge da una delle regioni virtuose, con un residuo fiscale positivo (come Lombardia e Veneto), la risposta non può che essere negativa. La finanza pubblica, e quella che investe la dinamica Stato/Regioni ordinarie, è infatti un grande vaso comunicante, per cui se – ipotesi – da domani la Lombardia trattenesse sul suo territorio dieci o venti miliardi del proprio gettito che crea un residuo fiscale così vantaggioso (calcolato a seconda degli studi tra i 40 e i 50 miliardi per la sola Lombardia, tra i 15 e i 20 per il Veneto), quei miliardi mancherebbero alle altre regioni.

Per cui o si abbassano i trasferimenti, e – esempio – si smette di finanziare le Asl della Calabria o le strade della Campania, oppure visto che i trasferimenti sono regolati per legge secondo criteri ben precisi e non si può fare figli e figliastri, quei soldi per le regioni meno ‘abbienti’ le mettono in più le altre in attivo.

Aumentando il livello di autonomia finanziaria di alcune regioni, verrebbe in sostanza meno il vincolo di solidarietà che sta alla base del patto nazionale. Che poi certe regioni amministrino male i propri soldi, che al sud si sprechi quanto è possibile sprecare, è vero. Ma è un altro discorso, che poco ha a che fare con l’aumento dell’autonomia di una o due regioni. Una o due sulla carta, peraltro. Perché è evidente che se passasse il referendum e il governo concedesse maggiori margini di spesa a Lombardia e Veneto, quanto prima anche le altre rivendicherebbero gli stessi ‘diritti’. E salterebbe l’unità fiscale del Paese e forse il Paese stesso.

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