Mercoledì 24 Aprile 2024

Ragazzo suicida a Lavagna, il finanziere: "Quell'azione anti droga non la farei più"

L'angoscia del comandante: "Serviva un supporto psicologico"

Il ragazzo 16enne di Lavagna suicida dopo controllo antidroga

Il ragazzo 16enne di Lavagna suicida dopo controllo antidroga

Lavagna, 17 febbraio 2017 - «POTENDO tornare indietro, avrei rifatto quel blitz? Umanamente, dico di no. Col senno di poi immaginerei sicuramente un intervento diverso, con un supporto psicologico presente in casa. Penserei a una soluzione alternativa, ci sto ragionando tutti i giorni. Conoscendo l’esito tragico di quel servizio, adesso dico che era meglio non farlo», sono le valutazioni pesanti come macigni del generale Renzo Nisi, comandante provinciale della Guardia di finanza di Genova, che quella perquisizione l’ha gestita. Nel blitz a Lavagna ha perso la vita, lanciandosi dalla finestra, il 16enne Giovanni Bianchi, sorpreso dalle Fiamme gialle con alcuni grammi di hashish fuori da scuola e poi accompagnato a casa.

Generale, giudicando da uomo non rifarebbe quel blitz. Ma pensando da finanziere? «Se un cittadino ci chiede aiuto, dobbiamo aiutarlo nel miglior modo possibile. Nel caso del ragazzino siamo intervenuti con tutte le cautele del caso, predisponendo una squadra speciale per l’occasione, composta da padri di famiglia che sapessero bene come approcciare un giovane. Erano tutti militari in grado di creare un ambiente meno traumatico possibile. Abbiamo fatto in modo che nell’abitazione ci fosse la madre con il compagno».

Prima di lanciarsi dalla finestra, il ragazzino ha detto qualcosa? «Stava parlando con i suoi familiari, era un classico rimprovero da genitori. Non stavano assolutamente litigando in modo acceso, l’argomento era la droga».

Il procuratore dei minori della Liguria, Cristina Maggia, ha detto che bastava una chiamata e avrebbe sconsigliato la perquisizione. «Non entro in polemica con il procuratore: noi operiamo strada per strada, con la gente e per la gente. Le decisioni vanno prese nell’arco di un attimo e ci appelliamo alla professionalità. Se si giudica in base al risultato, anche la vita di ognuno di noi è da rivedere».

Sente il peso della morte del ragazzino? «Abbiamo messo in campo la migliore esperienza e rispettato le procedure per tutelare il minorenne. Il risultato non ci ha dato ragione, non siamo tranquilli. Ci sentiamo profondamente colpiti e dispiaciuti. Fare il massimo non è bastato, si può pensare di mettere più forze in campo. Normalmente non si fa, ma nelle perquisizioni casalinghe potrebbe entrare in gioco da prassi lo psicologo».

In che modo? «Non sarebbe agevole per i costi e l’organizzazione del lavoro, ma si può immaginare uno psicologo del pronto intervento che ci afffianchi in situazioni in cui sono coinvolti minorenni».

Antonella Riccardi, la madre adottiva di Giò come vi ha chiesto aiuto? «È venuta in caserma alle 10.30 raccontandoci del figlio, che aveva manifestato repentinamente problemi nella vita di tutti i giorni. Lei temeva facesse uso di stupefacenti. Aveva cattive frequentazioni e andava male a scuola, mentre prima era uno dei migliori della classe ed era molto ben inserito nel tessuto sociale tra paese e calcio. Questo è stato il grido di disperazione della madre».

Voi come avete operato? «Alla prima occasione utile dovevamo capire se usava o meno droghe. All’uscita da scuola, alle 13.30 una pattuglia in borghese, d’accordo con la mamma, lo ha fermato. Lui ha risposto tranquillamente alle nostre domande, trovando anche una scusa molto fantasiosa: l’hashish l’ho trovato nel bagno della stazione».

Che spiegazione si è dato al gesto estremo e improvviso di Giò? «Non lo so, me lo sto chiedendo in tutti questi giorni e soprattutto ieri (mercoledì, ndr) al funerale quando ho visto l’enorme partecipazione per l’addio. Quel ragazzo era inserito ovunque, aveva amici, conoscenti, compagni di squadra. Non si spiega, è imponderabile».

Quali consigli può dare ai genitori che devono affrontare i problemi di droga dei figli? «Li temo anche io da padre, visto che ho due figli abbastanza giovani. Una ricetta non c’è, ma ammiro il comportamento della famiglia di Giò, che quando l’ha ritenuto opportuno si è rivolta allo Stato per chiedere aiuto. La loro scelta è stata giusta, l’esito era imponderabile. Se la gente non si rivolge allo Stato nel momento del bisogno, la società perde il suo valore. In questi giorni ho sentito di tutto, tranne che la fiducia nello Stato. Noi aiutiamo chi ha bisogno».