I ponti in piedi dopo duemila anni

Strutture in pietra fatte per durare e mostrare l’onnipotenza di Roma

Ponte Sant'Angelo, Roma

Ponte Sant'Angelo, Roma

Roma, 18 agosto 2018 - Sono stati, probabilmente, i romani i più grandi costruttori di ponti della storia. E la loro civiltà ha potuto estendersi, più di ogni altra, grazie alla loro capacità di creare vie di comunicazione, oggi diremmo infrastrutture, delle quali proprio i ponti rappresentano l’esempio più significativo. Che, per i discendenti di Romolo, i ponti avessero una importanza e un significato profondo, che andava al di là della loro utilizzazione pratica, lo dimostra bene un passaggio del De Bello Gallico.  Caio Giulio Cesare racconta che, dovendo attraversare il Reno con tutto l’esercito romano, preferì far costruire un grande ponte ligneo da lui stesso progettato nei dettagli, sfidando l’impetuosità e profondità delle acque, piuttosto che ricorrere all’utilizzazione di navi che non si addiceva – son sue parole testuali – "al suo decoro personale né a quello del popolo romano". E, del resto, una traccia del carattere, per così dire, sacrale e simbolico che, in generale, il ponte aveva per i romani si trova, evidentemente, nella figura del Pontifex maximus, che letteralmente significava "costruttore di ponti" e che, di fatto, non era solo un sacerdote ma anche un mediatore fra l’ordinamento giuridico e la società. Al di là della bravura tecnica e delle capacità ingegneristiche e architettoniche di chi costruiva i ponti nell’antica Roma e nei territori conquistati da romani c’era, alla base di quelle realizzazioni, il sentimento e l’orgoglio di voler creare strutture destinate non soltanto ad essere strumenti di utilità immediata, ma anche a durare nel tempo come testimonianza della forza, della opulenza e del potere della città che ambiva ad essere caput mundi.  Ed è un dato di fatto significativo che, a distanza di millenni dalla loro costruzione, centinaia e centinaia di opere di questo genere realizzate dagli antichi romani siano ancora in piedi e continuino a suscitare meraviglia. 

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A parte i ponti che uniscono nella "Città eterna" le due rive del Tevere, e quelli famosi di località italiane – dal Ponte di Tiberio a Rimini al Ponte Pietra di Verona ai ponti di Padova e via dicendo – ci sono quelli sparsi nei territori già facenti parte dell’impero, in tante località della Spagna (da Salamanca a Toledo), della Francia, della Romania, della Tunisia, della Turchia e via dicendo. Una lista stilata alla metà degli anni Novanta ne registra circa novecento.  Anche altri popoli dell’antichità conobbero l’arte di costruire ponti – dagli etruschi, in un certo senso maestri dei romani, ai greci fino ai babilonesi – ma nessuno raggiunse il livello tecnico dei romani. Questi ultimi costruivano i loro ponti utilizzando, proprio per garantirne la durata nel tempo, la pietra perché materiale non deperibile e cercavano soluzioni che risultassero eccezionali anche dal punto di vista estetico. In questo mix di tecnologia, di simbolismo e di ricerca della bellezza sta la lezione architettonica dell’antica Roma, repubblicana prima e imperiale poi.

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  Con il passare dei secoli e con l’introduzione di nuovi materiali e di nuove tecniche costruttive, molta acqua – si potrebbe dire con una battuta – è passata sotto i ponti. Sono state realizzate, per esempio, opere mirabili come il suggestivo Tower Bridge di Londra o come lo spettacolare Ponte delle Catene che univa Buda e Pest separate dal Danubio ovvero come il Ponte di Brooklyn, interamente costruito in acciaio nella seconda metà dell’Ottocento e rimasto per lungo tempo come il ponte sospeso più grande del mondo. Opere, tutte, queste, che, però, non fanno ombra alla genialità costruttiva degli antichi romani e alla loro capacità di realizzare ponti che ancora oggi resistono all’usura e al tempo. Una genialità e una capacità che ancor più debbono essere apprezzate di fronte alla grande tragedia che ha colpito la città di Genova con il crollo di parte del ponte Morandi.    

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