Sabato 20 Aprile 2024

Morto Paolo Villaggio, l'eroe sfortunato del bambino che è in noi

Il comico genovese si è spento all'età di 84 anni. Nessuno, forse neanche Totò, ha fatto ridere di pancia, di testa, di cuore come lui

Paolo Villaggio nei panni del ragionier Ugo Fantozzi (Lapresse)

Paolo Villaggio nei panni del ragionier Ugo Fantozzi (Lapresse)

Roma, 3 luglio 2017 - Rude, tagliente, controverso. Eppure il suo segreto era il più limpido del mondo, non aver dimenticato mai di essere rimasto un bambino. Perché, diceva spesso - con quella sua voce calda e brusca, densa di un sarcasmo sottile e ruvido, ficcante e dolce - che i comici sono tali proprio perché restano piccoli per sempre. Ma Paolo Villaggio non era un comico. Non soltanto, almeno. Perché sì, in fondo per tanti resterà solo Fantozzi - che in fondo è già letteratura -  ma in questo Charlot ligure c'era dell'altro, c'era una malinconica rara. Graffiante, perfida e buona. Una malinconia destinata a esplodere, com'è stato, in una maschera irresistibile. No, non era un clown Villaggio, semmai un cartone animato disegnato dalle intuizioni di un borghese disincantanto che negli anni ha scavato nelle bassezze umane e nelle ipocrisie più recondite rendendole, con la sua maschera di gomma, arte fisica.

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Villaggio è stato la maschera di un'Italietta piccola e arrivista. Nessuno, forse neanche Totò, ha fatto ridere di pancia, di testa, di cuore come lui. Ricordate l'episodio dell' "Ippopotamo", lo squallido night club dove il vanitoso e imbellettato Calboni trascinò il Nostro e l'occhialuto Filini nella più improbabile delle notti da play-boy? Pupazzoni da regalare alle 'donzelle' in pista, la mitica Prunella Ballor portata da casa, i nove taxi (una media di due e un quarto a persona) chiamati per tornare a casa. O l'indimenticabile apertura della caccia, dove "i più facoltosi si avvalsero di mezzi corazzati e cingolati con attendenti al pezzo" e "un megalomane noleggiò un aereo da bombardamento". Roba da almanacco  del grottesco, il trionfo dell'iperbole. Ma quella di Villaggio era una comicità amara, figlia di una malinconia crescente, di una percezione di perenne inadeguatezza dell'uomo medio che incarnava. E figlia, in fondo, delle sue nostalgie. Perché il tempo per Villaggio era in fondo il vero nemico, più ancora del Megadirettore laterale. Disse una volta:  "Vorrei avere delle boccette dove conservare i profumi della mia gioventù. L'odore del pitosforo, l'odore del sale del mare al tramonto, l'odore delle notti senza luna ma con le lucciole. I profumi sono dei grandissimi scatenatori di ricordi".

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Amava la sua Genova, Villaggio. Poi la odiava, poi l'amava ancora. Genova, città straordinaria, dove gli spazi di cielo sono tovaglioli ritagliati tra palazzoni appiccicati, incrostati di mare e disperate umanità. Amava le sue radici, la Samp dei pionieri, il suo piccolo mondo antico. Quando si è accorto che quel mondo non esisteva più, che se n'era andato anche l'amico De Andrè, poeta mascalzone e scanzonato, ha iniziato a evocarlo come un Eden perduto. Una volta, a Boccadasse, abbozzo' la "Canzone dell'amore perduto", ma smise subito. Eri, caro Paolo, l'eroe sfortunato del bambino che è in noi. Il nostro Paperino. E i veri eroi, in un certo senso, non muoiono mai. Te ne sei andato all'alba di un lunedì, caro Inferiore, prima che la maledetta sveglia delle 7,51 ti spingesse a quel quotidiano tentativo "al limite delle possibilità umane" di timbrare il cartellino alle 8 e 30 precise. In fondo, stavolta, per una volta, hai vinto tu. E stasera brinderemo a te, stappando una bottiglia di Prunella Ballor. Sempre che esista ancora in qualche bar, sempre che non sia scomparsa insieme a quella piccola Italia del Novecento che hai raccontato con l'estro dei giganti.

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