Mercoledì 24 Aprile 2024

Paolo Villaggio, addio clown geniale. Fantozzi va in Paradiso

Aveva 84 anni, ha raccontato le viltà dell'impiegato. Domani la camera ardente in Campidoglio, poi il saluto laico alla casa del Cinema

Paolo Villaggio (Olycom)

Paolo Villaggio (Olycom)

Roma, 4 luglio 2017 - Ogni volta che mi chiedevano di intervistare Paolo Villaggio il lavoro diventava festa. Villaggio era uno di quei comici (oltre che attore, scrittore, intellettuale) generosi capaci di inscenare uno show per un unico spettatore, perdipiù non pagante. Non era felice e non ti lasciava andare finché non ti sentiva stramazzare a terra per le risate. Voleva gli applausi. Cominciavi con una domanda e poi lui andava in tutta un’altra direzione, infarcendo il racconto di aneddoti irresistibili. Amava ricordare i tempi di quando lavorava all’Italsider di Genova, il milieu dove venne forgiata l’immortale monumento di Fantozzi. Ti raccontava di quando, tra gli impiegati, si gareggiava a chi lavorava meno, finché uno della truppa saltò sulla scrivania e proclamò orgoglioso: «Io è dal 1963 che non faccio niente!», e tutti gli altri scoppiarono in un applauso fragoroso.

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VIDEO Paolo Villaggio, le 5 scene cult di Fantozzi

O quando fuggivano dalle finestre per andare a fare il bagno e poi tornavano in tempo per timbrare il cartellino. Serissimo, ti narrava della volta in cui, in visita a un paesino meridionale, il sindaco, dopo avergli magnificato le bellezze locali, fece pipì contro un albero e poi gli tese la mano per salutarlo. Era particolarmente orgoglioso dei riconoscimenti ricevuti all’estero, soprattutto del più prestigioso premio letterario russo. Quando, imbarazzato da tanto onore ricevuto nella patria di Tolstoj e Dostojevskij, si alzò timido per ricevere l’onorificenza, fu sommerso da un uragano di applausi da parte di quei sussiegosi intellettuali.  Perché Fantozzi rappresentava a meraviglia l’anima italiana ma anche russa, è davvero una maschera paragonabile ad Arlecchino, all’Avaro, a Peter Pan, incarna una tipologia umana universale che però, fino a quando lui non la portò alla luce, restava nascosta e inconfessata nell’inconscio collettivo. Tutti noi in qualche momento della nostra vita ci siamo sentiti Fantozzi, così come ci siamo sentiti Paperino.    Nella sua furia iconoclasta Villaggio ha trascinato nella leggenda i compagni di disavventura: la moglie Milena Vukotic, la figlia scimmiesca (in realtà un uomo, Plinio Fernando), il collega supermiope Filini (Gigi Reder), e soprattutto la signorina Silvani, cioè Anna Mazzamauro, miraggio erotico inseguito per sette film e carpito solo nell’ottavo. Ognuno di noi sa a memoria almeno qualche battuta dei suoi film (o dei suoi libri), e una è entrata nel patrimonio nazionale: «La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca», un’invettiva universalmente condivisa che è diventata l’urlo liberatorio della maggioranza silenziosa contro i diktat molesti degli intellettuali chic.

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Anche lui era un intellettuale, ma dissimulava la propria cultura: fu protagonista dell’ultimo film di Fellini, La voce della luna, fu amico di Fabrizio De Andrè, e autore del testo della sua beffarda Carlo Martello. Ma Villaggio non è stato solo cinema. Con Cochi e Renato e Enzo Jannacci rivoluzionò la tv italiana, ben prima di tanti altri acclamati Che Guevara a 24 pollici. I suoi personaggi di Quelli della domenica (1968) – il professor Kranz da una parte e Fracchia dall’altra – furono la nitroglicerina che fece esplodere il perbenismo soffocante e mortifero della tv di Stato. 

Kranz era l’incarnazione della cattiveria più gratuita, aggrediva e insultava gli spettatori come mai nessuno aveva fatto prima (ma molti avrebbero fatto dopo), mentre Fracchia era il papà di Fantozzi, vigliacco e sottomesso alle angherie del capufficio Agus – il puff su cui Fracchia rantolava resta una delle invenzioni scenografiche più clamorose e azzeccate nella storia dello spettacolo, emblema compiuto dell’ossequio al potere. Villaggio è stato il simbolo di un’Italia pusillanime, meschina e pavida, ma anche, forse soprattutto, così divertente. L’ultimo, tragico Fantozzi.