Otto per mille alla Chiesa, il vescovo: "Tante liti e pochi controlli"

"La gente venga a vedere come spendiamo i soldi"

IMPEGNO Domenico Sigalini (Imagoeconomica)

IMPEGNO Domenico Sigalini (Imagoeconomica)

Città del Vaticano, 19 marzo 2017 - «Crollo della fiducia? Non direi, la gente viene in parrocchia ad aiutarci anche ben oltre l’8 per mille. Abbiamo subito una campagna denigratoria negli anni scorsi con l’esplosione degli scandali legati alla pedofilia. Adesso penso sia il turno di una campagna legata agli scandali finanziari. Magari con la spinta di qualche lobby che i fondi dell’8 per mille ce li vuole levare».

Monsignor Sigalini, vescovo di Palestrina ed ex assistente spirituale dell’Azione cattolica, non la preoccupa il calo della propensione degli italiani a donare alla Cei la quota dell’8 per mille? «L’erosione è cominciata da un po’ di anni e la prima ragione di questo fenomeno è dovuta non tanto alla cattiva amministrazione ma alla non chiarezza di dove vanno questi fondi. Molti pensano che siano soldi che vanno al Vaticano e non è vero. È un gettito che viene dall’Italia e torna all’Italia».

Le altre ragioni? «C’è anche una lotta ideologica che si fa quando per esempio un Salvini si mette a dire: o fate questo o vi togliamo i fondi. Si crea una tendenza della gente a svalutarci».

Ci sarà pur qualche rimprovero che dovete farvi. «Se fossimo più trasparenti ci sarebbe maggiore fiducia, è chiaro. E ci vuole più controllo. Ma facciamo già tanto. Gli introiti ricevuti con il contributo dalle imposte sui redditi sono pubblici, siamo obbligati a pubblicarli. Nelle diocesi poi tutti i fedeli possono venire a vedere che succede di questi fondi, ci sono le pezze giustificative. Nella mia diocesi c’è il mio economo che su questo è molto rigido, le parrocchie ci devono dare i resoconti, le fatture di ogni intervento e di ogni spesa. C’è da andare di più verso questa trasparenza cui non siamo abituati».

Come fare per recuperare fiducia? «È chiaro che è ora di farla finita una volta per tutte con le stupidate di questi fallimenti. C’è un consiglio degli affari economici in Cei, ci sono una serie di organismi consultivi che servono proprio ad evitare questa fine e bisognerebbe ricorrervi di più. Tante volte siamo di fronte a delle vere ingenuità. Magari il parroco deve fare un intervento edilizio, un campo scuola, e si lascia anche un po’ fregare. Alle volte le aziende si approfittano perché tanto la Chiesa, si pensa, i soldi ce l’ha. Allora abbiamo imparato anche noi a farci fare prima almeno tre preventivi diversi».

Papa Francesco ha condannato molto spesso la cattiva gestione dei beni da parte degli ecclesiastici. «E ha fatto bene. Purtroppo quando uno ruba, ruba. Ci sarà sempre la mela marcia ma non è un modo di vivere della Chiesa. Possiamo tranquillamente vivere con questo 8 per mille e non facciamo i faraoni. Le diocesi sono 227, i preti prendono dagli 800-900 euro a un massimo di 1400 euro al mese in base agli scatti di anzianità».

Faccia un esempio di come utilizza i soldi dell’otto per mille. «Io spendo 10mila euro al mese per pagare utenze e bollette di tanti che non ce la fanno. Ma c’è anche un altro valore che è dato dalle parrocchie, che è spirituale e che nessuno scandalo finanziario può azzerare. Mi spiego. Noi stiamo costruendo nuove chiese in periferia. Posti dove spesso c’è degrado, criminalità, droga. La parrocchia diviene un presidio, fa opera di educazione e di assistenza. Questi fattori, dove arrivano le chiese, vanno a diminuire».